Le emergenze e il loro sedimento irreversibile
Sono ormai passati quasi dieci anni dalla dichiarazione di Mario Monti, che di lì a poco sarebbe diventato Presidente del Consiglio dei Ministri italiano. Come da lui preannunciato – ma in realtà anche Prodi fu profetico – le crisi sono diventate il motore delle riforme sociali che, un passo alla volta, stanno depositando nell’ordinamento quel famoso sedimento, la materia prima chiave per il regresso prodotto da un progressismo deviato. Nel 2012, evidentemente, il riferimento in essere era quel famoso processo d’integrazione europea che avrebbe dovuto superare, per mera decisione a tavolino, gli Stati nazionali a favore di una non precisata entità statuale di stampo europeo. In un articolo precedente si era tentato di analizzare questa modalità di decostruzione attraverso la cruda geopolitica che, come da famoso slogan pubblicitario «non vende sogni, ma solide realtà»: non è minimamente provabile, su larga scala, che la semplice frequentazione simil progetto Erasmus generi sentimenti amorosi; anzi, spesso tende a far emergere le incompatibilità culturali esistenti. Pensare che, ancora ai giorni nostri, tra paesi euristi frugali e paesi euristi PIIGS si stia riproducendo il medesimo scontro esistente ai tempi di Lutero dovrebbe far riflettere.
Eppure, almeno in questa fase, tali discordanze sono secondarie rispetto all’attualità. Ciò che è fondamentale tenere a mente del messaggio di Monti è che le crisi, qualunque sia il loro fattore scatenante, vengono utilizzate per lasciare un sedimento fertile difficilissimo da eliminare. Se questo è vero, allora serve considerare gli attuali provvedimenti governativi come generatori di nuovi strumenti normativi che difficilmente potranno essere accantonati al superamento dell’emergenza. La continua concessione di credito politico promosso dalla speranza che questa volta sia diverso non fa altro che rifornire d’ossigeno chi questi strumenti li ha posti in essere. C’era una volta l’istituzione del Meccanismo Europeo di Stabilità (presto la sua riforma tornerà nell’agenda setting politica), c’era una volta lo spauracchio spread (riapparirà non appena la BCE sceglierà di ritornare alle origini); oggi, il dubbio che dovrebbe attanagliare il popolo, dovrebbe essere la possibile sopravvivenza degli strumenti introdotti nel corso della pandemia che, per deduzione logica, dovrebbero rimanere come i sedimenti generatori di una nuova fase, di una nuova modernità. Lo considerammo già in passato: come pensava Walter Benjamin, affinché possano crearsi le condizioni adatte per l’avvento di una nuova modernità, occorre un passaggio catastrofico che sepellisca il passato (completamente svalutato) e spiani la strada al progresso (completamente valorizzato, quasi utopizzato). Già, il progressismo, il riformismo, con quella bislacca presupposizione che la riforma sia in sé migliorativa a priori.
E allora, il nuovo mantra è: «Reversibilità o irreversibilità? Questo è il dilemma». Ciò che secondo la teoria della finestra di Overton parte inizialmente come inconcepibile, un passo alla volta trova spazio nell’accettabile e nel condivisibile, fino a diventare pienamente perseguibile dal potere politico. Monti non fece altro che esporre, in altri termini, questo concetto: nelle crisi generate dall’emergenza, le resistenze sociali all’accettazione del cambiamento vengono più facilmente superate e gli interventi messi in campo continueranno a produrre i loro effetti anche a emergenza superata. Seguirà un ulteriore giro di giostra. Il fatto è che qui non si riflette più solo su aspetti sociali come nelle precedenti crisi, ma si stanno toccando aspetti civili che per decenni hanno rappresentato ovvietà indiscutibili e inalienabili.
Simone, ventottenne sardo, ha vagato in giovanissima età per il Piemonte, per poi far ritorno nell’isola che lo richiamava. Ama scrivere su tematiche politiche ed economiche. Legge per limitare la sua ignoranza.