Le tre funzioni della catastrofe nell’immaginario americano
Continuiamo questo viaggio all’interno dell’immaginario americano andando a occuparci dell’immaginario catastrofico. Quali funzioni ha la catastrofe all’interno dell’immaginario americano?
L’immaginario catastrofico si fonda principalmente su due culture: la cultura americana e la cultura giapponese, con un 70% detenuto dai primi e un 20% ad appannaggio dei secondi, mentre il restante 10% può essere distribuito tra gli altri immaginari. La catastrofe, in origine atto finale di una rappresentazione teatrale, ha nel tempo rappresentato il sinonimo di disastro, distruzione. Riprendendo Walter Benjamin, la catastrofe ha la funzione di creare spazio, così da poter volgere lo sguardo verso il nuovo che avanza, verso la modernità, verso il progresso. Affinché ciò potesse avvenire, si doveva passare dalla distruzione del vecchio, almeno fino a quando si arrivò a concepire una nuova tipologia di modernità, accettando il concetto di accumulazione del nuovo al vecchio, eliminando il passaggio rappresentato dalla distruzione.
All’interno dell’immaginario catastrofico, il terremoto di Lisbona, verificatosi nel 1755, fu uno spartiacque fondamentale: la catastrofe, fin lì figlia del volere divino o del fato, diventa tema di analisi, di confronto all’interno di una società che non accetta più di non poter controllare la natura. Una catastrofe che provocò tra i 200mila e i 300mila morti, distruggendo la capitale di un impero coloniale e che rappresentò il passaggio dall’era pre-moderna all’era moderna. Grandi pensatori si confrontarono e si scontrarono sul tema entrato nell’agenda setting, rimanendoci per più di un secolo. Un secolo di rivoluzione dei media, che dovettero fornire informazioni anche ai non letterati, e lo fecero attraverso le illustrazioni.
Tra i più accesi nel dibattito sul tema vi furono Voltaire, Rousseau e Kant. Il primo si lamentò dell’atteggiamento menefreghista delle grandi capitali europee, in riferimento a Parigi e Londra, di fronte alla sciagura portoghese; mentre i secondi cominciarono ad analizzare la catastrofe non come fatalità, ma come prodotto dell’azione umana. Le città andavano ripensate per non alimentare il disastro naturale con le disattenzioni progettuali.
Abbiamo posto una base importante: se è vero che la catastrofe è un passaggio distruttivo che porta verso il progresso, allora, almeno nell’immaginario, essa non potrà essere esclusivamente un fattore negativo. Ed infatti, nell’immaginario americano essa non è vista come aspetto negativo. E allora ritorniamo alla domanda iniziale: quali sono le 3 funzioni della catastrofe nell’immaginario americano?
- Creare spazio, per andare nuovamente alla ricerca della frontiera perduta;
- Ritornare alle origini, rappresentate dai padri pellegrini fondatori;
- Apocalisse, per comprendere finalmente chi sia un eletto e chi un dannato.
Tre funzioni assolutamente positive, dunque. Una catastrofe dapprima nucleare, in quanto si doveva riproporre il dualismo con l’altra superpotenza vincitrice della seconda guerra mondiale, l’URSS, in una temuta guerra nucleare imminente, dove la catastrofe veniva rappresentata da invasioni, metaforizzando l’attacco del nemico sovietico. Con la distensione, lo scampato pericolo sovietico fece mutare la catastrofe in ambientale, salvo poi riprendere la vecchia concezione dopo l’11 settembre 2001, ma con i sovietici sostituiti dagli attentatori islamici.
Nell’articolo precedente avevamo analizzato la frontiera nell’immaginario americano, e avevamo posizionato la sua fine intorno al 1890, con la fine dello spazio d’espansione in California, una volta giunti sulle sponde del Pacifico. Una fine della frontiera mai accettata, che ha portato con sé la necessità di gestire il conflitto mediante la ricerca di nuove frontiere sostitutive all’originale, o che potessero simularla, come nel caso di Hollywood. Ed ecco che, in queste condizioni, la catastrofe porta distruzione, sempre rappresentata all’interno delle odiate metropoli, luogo incontrollabile del male, riaprendo lo spazio e dando l’illusione della rinascita della frontiera perduta.
Con la fine della Frontiera, ecco riemergere come archetipo dominante il Puritanesimo, in un ritorno alle origini dei padri fondatori. L’assenza di spazio ulteriore portò a riprendere il controllo sul territorio esistente, andandolo a classificare, in qualsiasi modo possibile affinché si potesse ossessivamente controllare: nasce la psichiatria e l’ossessione per i database.
In ultimo, l’Apocalisse. Ogni puritano non si salva per opere, ma per predestinazione e passa la vita cercando i segni di quest’elezione, ma ben sapendo che la realtà la scoprirà solo una volta giunto dinnanzi a Dio. L’Apocalisse come catastrofe mette fine all’ossessionante attesa, dando una risposta definitiva alla voglia di conoscere il proprio destino, da eletti o da dannati.
Simone, ventottenne sardo, ha vagato in giovanissima età per il Piemonte, per poi far ritorno nell’isola che lo richiamava. Ama scrivere su tematiche politiche ed economiche. Legge per limitare la sua ignoranza.