Lega al catafascio: tutti gli errori di Matteo Salvini

I giorni che ci separano dalle elezioni europee segnano un mese esatto, i motori si scaldano e la corsa per la conquista del piatto ghiotto, il sorpasso definitivo e acclarato sul M5S di Luigi di Maio, esalta Matteo Salvini, ma, al tempo stesso, lo espone a manovre rischiose e discese cariche di infortuni. Lui, il politico più presente sullo schermo, già acclamato dai sondaggi come probabile vincitore delle imminenti corse elettorali, vuol volare dritto verso il trionfo, ergersi una volta per tutte a dominatore dello scenario nazionale, ma sconvolgenti sorprese non esitano a turbarlo.

Il Movimento 5 Stelle si è destato! Lento il suo recupero, atteso per mesi dai tifosi, ritardato con maestria dai suoi guidatori, la macchina grillina sembra esser tornata a punzecchiare il rivale. Colpevole, ma non troppo, il dibattito sull’analisi costi-benefici che ha diviso M5S e Lega sulla costruzione della Tav Torino-Lione, l’arena ha sfiatato ed esasperato Matteo Salvini.
Ha commesso significati errori sul piano comunicativo e strategico, segno della stanchezza e dell’elevata complessità del tragitto intrapreso: dopo mesi di comoda cavalcata mediatica ai danni di un timido socio di governo, permanere in fase di attacco anche quando le resistenze grilline aprono ad una disperata rivincita  e rispondono stoccata per stoccata ad ogni provocazione del Ministro dell’Interno.

«Sii duttile ai cambiamenti del caso», grida con veemenza al Principe l’urlo frustrato di un Machiavelli spesso inascoltato. Matteo Salvini, non solo, persiste nell’ostentare al pubblico una sola faccia, ma si lascia anche stordire dal nervosismo e non può che esibire i seguenti falli. Come camminare a zonzo nello stimare l’entità del fenomeno migratorio a puri scopi elettorali: cifra inserita nero su bianco sul contratto di Governo dal vicepremier Salvini, i 600mila migranti irregolari da riportare negli Stati di provenienza sono, in realtà, come comunicato dal Ministro dell’Interno in persona dopo mesi di meditazione e di finalmente raggiunta avvedutezza, soltanto 90mila. Un numero spiazzante, assai distante dalle mirabolanti quantità che infervorano il leader leghista solo un anno fa, che, oltre al danno informativo per i numerosi elettori italiani, reca con se anche la beffa: la Fondazione Ismu ha fissato a 470mila il numero di stranieri irregolari sul suolo italiano, mentre 30mila sono i clandestini identificati dalle forze dell’ordine ogni anno e, rispetto ai rimpatri effettuati dal predecessore Minniti (PD), pari a 20 al giorno, Salvini è riuscito a sfoderare soltanto una media di 19 al giorno. No, Matteo, emettere ruggiti improbabili e promesse inconciliabili con la realtà, non ti rende prestante a lungo termine e ti espone duramente agli attacchi del tuo socio, che, con estrema facilità, oggi rincalza: Non capiamo il senso di dover anche smentire ciò che è riportato nel contratto di governo, forse perché sui rimpatri ancora non è stato fatto nulla?

Un altro errore è mantenere saldamente stipato sulla poltrona di sottosegretario un esponente politico raggiunto da inchieste giudiziarie, già macchiato dal patteggiamento per bancarotta fraudolenta, indagato dalla Procura di Roma per corruzione: Armando Siri, giornalista genovese, senatore leghista, sottosegratario alle Infrastrutture, è l’uomo di Stato coinvolto nell’inchiesta giudiziaria che ha messo in rilievo le infiltrazioni di Cosa Nostra presso i vertici leghisti. Le pressioni provenienti da Vito Nicastri, re dell’eolico in Sicilia, sono state condotte per mezzo delle pressioni di Arata, ex deputato di Forza Italia, uno dei sette professori a cui Salvini ha affidato la stesura del programma di governo della Lega, padre di Francesco Arata, consigliere di Giancarlo Giorgetti, numero due della Lega. Preparato ad assistere alle ripetute traversie giudiziarie dei colleghi di centrodestra, Matteo è ora al governo con una forza politica che rigetta prontamente l’odore della mafia, facendo di tale comportamento il suo tratto distintivo. No, Matteo, non cedere alle indicazioni dell’alleato colto da inaugurata fortuna, proclamare Siri intoccabile, non costituisce la strategia migliore per cacciare voti tra i delusi del M5S, né tanto meno per conservare gli elettori attratti a sé da tale area, stimati, secondo ai sondaggi, ad un elettore su 5 che ha votato il M5S alle elezioni politiche del 2018.

Ancora, negare al Comune di Roma e agli italiani la rinegoziazione del debito è uno sbaglio: il Decreto Crescita, mirante a scongiurare la crisi di liquidità che entro il 2022 potrebbe soffocare la capitale, nonché a ridurre il contributo statale annuale di 300 milioni (cifra approntata nel 2010 dal governo Berlusconi, allora governante con la Lega Nord), ridurre la super addizionale Irpef (la più alta d’Italia) pagata dai romani, consentire il passaggio al Ministero del Tesoro del prestito obbligazionario di 1,4 miliardi nelle mani del Campidoglio, senza effettivi aggravi aggiuntivi per le casse statali, ma, soprattutto, ad intervenire sui comuni italiani in dissesto finanziario, non è contemplato dalla maggioranza leghista. Giorgia Meloni, in pole position per la candidatura a sindaco alle elezioni del 2021, fa quadrato intorno all’alleato e, insieme, al PD e a FI, non approva la decisione del comandante leghista. No, Matteo, voler prepotentemente rifiutare alla capitale d’Italia i necessari aiuti con motivazioni non sostanziali, significa far ritorno ai cori di bossiana memoria e voler dirottare il tuo partito ad un isolamento che non giova in fase espansiva.

Riuscirà l’armata leghista a salvarsi dal precipizio?