L’ennesima colpevolizzazione della vittima donna
È successo di nuovo lo scorso 3 marzo a Londra: di rientro a casa la sera una donna, Sarah Everard, è stata sequestrata e successivamente assassinata. Il 12 marzo ne è rinvenuto il cadavere e il suo presunto assassino Wayne Couzens, ufficiale della polizia metropolitana londinese, è arrestato con l’accusa di rapimento e omicidio. Quanto accaduto a Sarah Everard compare sui media nazionali, indigna la popolazione, principalmente femminile ma non solo, e dà il via ad un acceso dibattito a livello istituzionale che è espressione del fallimento delle istituzioni sociali nel trattare i diritti e il corpo delle donne.
All’indomani dell’accaduto a impostare la solita dialettica che vuole le donne colpevoli delle violenze che subiscono è stata la stessa polizia londinese che ha gentilmente invitato le donne a rinchiudersi in casa e a non uscire dopo un certo orario per evitare di trovarsi in situazioni a rischio. Niente di nuovo insomma: se sei donna ti devi rassegnare al fatto che la tua libertà, di vestirti come ti pare o, fatto ancora più sconvolgente, di voler mettere piedi fuori da casa tua al calar del sole, finisca là dove inizia quella di un uomo per cui questo tipo di comportamenti potrebbero risultare provocanti. Uomini, parliamone: non siete stanchi anche voi di essere rappresentati come dei bruti in cerca di una preda e incapaci di controllare i propri istinti? Perché sia ben chiaro che la figura che ci fate ogni volta che vi arrampicate sui vetri per giustificare le malefatte di un vostro simile è esattamente questa e se già da un punto di vista femminile la narrazione problematica, da quello maschile non va certo meglio.
Dopo lo scivolone della polizia, se così vogliamo chiamarlo, la deputata della Camera dei Lord Jenny Jones ha provocatoriamente avanzato l’ipotesi di un rovesciamento di ruoli e dell’imposizione di un coprifuoco dalle 6 del pomeriggio agli uomini. Apriti cielo: Nigel Farage ha prontamente colto l’occasione per bollare le dichiarazioni della Jones come gli sproloqui di una sinistra impazzita e insieme a lui molti altri uomini, evidentemente con uno scarso senso dell’umorismo nonché con la coda di paglia, si sono indignati di fronte a una simile proposta. In fin dei conti il loro ragionamento è del tutto legittimo e valido: imporre agli uomini un coprifuoco non può essere la soluzione, nemmeno temporanea, ad un problema così ben radicato nelle nostre società. La domanda sorge però spontanea: se rinchiudere gli uomini in casa non serve a niente, perché dovrebbe funzionare con le donne?
Il punto è che sui diritti e sulle libertà delle donne si è sempre pronti, in un certo senso si è addirittura abituati, a discutere, a chiedersi se forse non sarebbe meglio permettere alle donne di comportarsi in questo modo ma non in quest’altro e, ciliegina sulla torta, a sentenziare come se sulla libertà individuale e i diritti fondamentali si potesse davvero dibattere. Se l’idea di un coprifuoco maschile appare offensiva ed è subito descritta come una violazione della libertà degli uomini, è giunto il momento di fare uno sforzo ulteriore e rendersi conto di quanto assurdo e profondamente ingiusto sia che a decidere dei corpi femminili siano sempre altri. «Men are afraid that women will laugh at them. Women are afraid that men will kill them»* riporta un cartellone lasciato nel parco di Clapham Common a Londra in ricordo di Sarah Everard e a chi scrive sembra che miglior descrizione del marcio che la cultura maschilista ha diffuso nella nostra società non possa esserci.
*«Gli uomini hanno paura che le donne ridano di loro. Le donne hanno paura che gli uomini le uccidano»
Studentessa universitaria di Sociologia e aspirante giornalista.
Mi cimento in articoli di attualità e cultura con un occhio di riguardo per le questioni sociali.