L’Euroriformismo eterno
È notizia di pochi giorni fa l’apertura della Commissione Europea a una riflessione generale riguardante il patto di stabilità. Dopo anni di austerità inflitta senza un perché, che ha di fatto tagliato fuori i paesi dell’Eurozona da un periodo di crescita economica generalizzata in tutto il mondo, improvvisamente da Bruxelles si sono accorti dell’insensatezza dei vincoli macroeconomici europei. Non solo non hanno portato a una riduzione del rapporto debito/PIL degli Stati ma, anzi, l’hanno fatto aumentare, generando una serie di conseguenze a cascata, come l’aumento della disoccupazione nell’arco di un decennio e il taglio del costo del lavoro, leggasi taglio dei salari, che ha aumentato ancora di più le disuguaglianze.
Ricordiamo che all’arrivo del governo tecnico di Mario Monti, supportato da un «fate presto» disperato e generalizzato, il rapporto debito/PIL italiano viaggiava sul 115% e, al termine della sua «cura» a colpi di tagli della domanda interna per rientrare dal deficit commerciale e tornare in surplus, il rapporto arrivò al 130%, conseguenza di un crollo del PIL. Monti fece ciò che il centro-sinistra non volle fare in prima persona con un proprio governo, delegando a un tecnico il compitino di scaricare i costi della permanenza nell’Euro ai lavoratori, esattamente come fatto negli anni ’90 quando si tratto di dover entrare nel medesimo meccanismo.
Ora, la Commissione Europea lancia una consultazione rivolta ai governi nazionali, alle istituzioni e alle parti sociali per raccogliere punti di vista e riflettere sulle opzioni di un pacchetto di riforma del patto di stabilità da presentare a fine 2020. Possibilità di un accordo sensato tra paesi del nord, interessati a un inasprimento delle sanzioni per i trasgressori – anche per quelli che sforano il limite del surplus commerciale? Poco probabile – e i paesi del sud, interessati a poter avere un’apertura agli investimenti scorporati dal computo del deficit pubblico, decisamente risicati. Gli interessi sono opposti e di certo non sarà chi oggi detiene una posizione di predominio ad accogliere le idee mediterranee.
Vedremo che proposte arriveranno dal Governo italiano. Tuttavia, possiamo già riscontrare che la tanto pubblicizzata transizione verde, il Green New Deal, per l’Italia parte in passivo: riceverà circa 360 milioni di Euro su un ammontare complessivo di 7,5 miliardi ma, per alimentare il fondo, dovrà versarne all’Unione Europea circa 900!
Eh, perché funziona così, è il «privilegio» di essere contributori netti: quante cose belle abbiamo fatto con i «fondi europei»?!
Simone, ventottenne sardo, ha vagato in giovanissima età per il Piemonte, per poi far ritorno nell’isola che lo richiamava. Ama scrivere su tematiche politiche ed economiche. Legge per limitare la sua ignoranza.