Libia: eletto a Ginevra esecutivo provvisorio
Siccome non risulta più funzionale alla narrazione politica interna, dopo anni di riflettori puntati la Libia sembra essere stata cancellata dalle mappe. Eppure lo stato africano sta vivendo in questi giorni una transizione fondamentale della propria storia recente. A partire dalla destituzione muscolare del colonnello Gheddafi nel 2011, in buona parte eterodiretta dall’Occidente, dall’altro lato del Mediterraneo vige una situazione geografica incerta e conflittuale, frutto della spaccatura finora insanabile tra fazione dei militari (Esercito Nazionale Libico, comandato dal generale Haftar) e classe politica riconosciuta dall’ONU (Governo di Accordo Nazionale, diretto finora da al-Serraj).
Mentre nella fenditura sguazzano signori della guerra, estremisti islamici travestiti da ribelli, corruttori, trafficanti di esseri umani e criminali di ogni genere, l’ormai decennale tentativo di riportare all’equilibrio una società basata sulla divisione in clan, controllata da gruppi di milizie spesso non riconosciute e dilaniata dalla guerra civile non è stato sostenuto dagli attori della politica mediterranea. Essi, infatti, hanno contribuito e tuttora contribuiscono a radicalizzare lo scontro, chiudendo più di un occhio sulle attività illegali, per portare avanti i propri interessi strategici ed energetici, ovvero tenere i migranti lontani dalle proprie coste e ottenere il via libera allo sfruttamento delle risorse petrolifere libiche. Oltre a risolvere la guerra civile vera e propria, la pacificazione libica non può prescindere dal soddisfare almeno parzialmente Francia, Italia, Turchia, Russia e gli altri stati del nordafrica che premono affinché la soluzione della crisi sia incarnata da un’amministrazione a loro favorevole.
Dopo anni di tentativi andati a vuoto e tregue violate, in seguito al cessate il fuoco di fine ottobre 2020 si è aperto uno spiraglio per una transizione politica verso una rinnovata unità del paese. Sotto la supervisione dell’inviata dell’ONU Stephanie Williams, i libici hanno subito individuato la data delle prossime elezioni generali nel 24 dicembre 2021, settantesimo anniversario dell’indipendenza. Dopodiché hanno accelerato i negoziati per eleggere un governo di transizione condiviso, riunito 75 rappresentanti di fazioni, milizie e clan nel Forum di dialogo politico libico e vagliato la candidatura di tre liste. La votazione ha avuto luogo ieri a Ginevra e ha decretato Presidente a interim Mohammed Menfi, ex ambasciatore in Grecia cacciato dopo la firma dell’accordo per l’esplorazione delle acque territoriali con la Turchia. Abdul Dbeibah, imprenditore di Misurata ed ex collaboratore del figlio di Gheddafi, occuperà invece la carica di primo ministro.
Il risultato viene salutato con favore dai turchi e risulta congeniale alle istanze della fazione di Haftar, ma sconfessa pronostici e auspici della stessa ONU. Come sostiene l’esperto analista di relazioni internazionali Arturo Varvelli, i veti incrociati hanno bloccato la nomina del ministro dell’interno uscente Fathi Bashaga e dell’ex capo del consiglio di Tobruk Aquila Saleh, restituendo un governo provvisorio debole nei confronti di malumori interni e pressioni internazionali, nonché permeabile a eventuali scalate politiche violente da parte degli esclusi. Due figure, specialmente la prima, che avrebbero giovato moltissimo anche all’Italia. Bashaga è infatti l’interlocutore più affidabile della Farnesina, in quanto durante il suo mandato ha costituito in stretta collaborazione con il Belpaese l’alternativa alla cosiddetta Guardia Costiera libica, corrotta dai trafficanti, in mano alle milizie e non nuova a pratiche scorrette come rivendere alla marina di altri stati le motovedette ricevute in regalo per pattugliare i confini marittimi. Tale operazione, in concomitanza con l’aperta e concreta avversione verso le milizie stesse, ha sicuramente contribuito alla sconfitta odierna di Bashaga.
Classe 1993, volevo fare il giornalista ma non ho la lingua abbastanza svelta.
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