L’illusione dell’Art Bonus. Potrebbe rimetterci la cultura

Avevamo già parlato del tragico destino che sarebbe toccato a Pompei, se non ci fosse stato un interessamento serio (e non legato alla mafia, ça va sans dire) da parte delle Istituzioni. Con il Decreto legge cultura e turismo, firmato da Napolitano il 31 maggio, sembrerebbe cambiare qualcosa, visto che esso prevede maggiore trasparenza nella gara per gli appalti del “Grande progetto Pompei”, proprio quello che fu finanziato dalla Comunità europea con 105 milioni di euro, finiti chissà dove. Le indagini sono in corso e non possiamo far altro che attendere fiduciosi.

Il Dl in questione, considerato dal ministro Franceschini “un’autentica rivoluzione”, contiene anche il cosiddetto “Art Bonus”, elogiato dalla stampa nazionale, un credito d’imposta del 65 per cento: significa che sia i privati, sia le imprese potranno detrarre, appunto, il 65% delle proprie donazioni a favore di teatri, musei, biblioteche, fondazioni culturali, anche siti archeologici come quello di Pompei. Caro Franceschini, anche noi ci siamo illusi per qualche settimana che potesse davvero attuarsi una rivoluzione nel mondo della cultura, tuttavia c’è un emendamento di cui nessuno parla, approvato dalla Camera al momento della conversione in legge, il 9 luglio. Prima di questa data, il Decreto aveva dato il via ad una totale liberalizzazione nella riproduzione dei beni culturali. Agli studenti e ai filologi sembrava un sogno: per la ricostruzione del nostro patrimonio letterario (un esempio fra tanti: il caso del Milione di Marco Polo) è spesso fondamentale il confronto tra varie redazioni di un testo per stabilire quale tra esse sia la più vicina a quella voluta dall’autore. Queste redazioni si trovano nei manoscritti, fragili libroni copiati a mano nel Medioevo e a volte anche nel periodo successivo all’introduzione della stampa, e i manoscritti sono situati nelle biblioteche e negli archivi di tutto il mondo. Prima del 9 luglio, fare delle foto a queste pagine con fini di studio e/o di conservazione (i manoscritti si deteriorano con il tempo) sembrava finalmente possibile. Era finita l’era delle costosissime, ma professionali, riproduzioni, dei tempi di attesa biblici, delle foto scattate di nascosto. Finalmente, “si cambiava verso”.

Ma alla Camera, un emendamento discusso direttamente in aula e sottoscritto dalla segretaria della Commissione Cultura, Flavia Piccoli, e da tutti i componenti del PD di questa Commissione (tra gli altri, Giuseppe Civati e Matteo Orsini) ha prescritto che dalla suddetta norma sulla liberalizzazione vengano esclusi i beni archivistici e librari (invece un selfie con la Pietà di Michelangelo è permesso).

I motivi non sono chiari. Potremmo supporre che alcuni funzionari, dirigenti o ditte del settore delle biblioteche e degli archivi si siano ribellati al Decreto, con il quale avrebbero perso il potere sui reperti e le opere che custodiscono. Potremmo pensarlo, ma non lo facciamo. Innanzitutto, per essere approvata, la legge deve essere discussa in Senato, e il termine è stato fissato per il 31 luglio. Magari qualcuno si renderà conto che in questo modo si danneggia solo la cultura. Già, magari.

 

Elena Ferrato