L’importanza di una sonora bocciatura

In questi giorni la possibilità offerta a tutti dalla consultazione on line di dare il proprio contributo al piano del governo “La buona scuola” ha sdoganato le proposte più avventate, che speriamo non trovino udienza, come l’abolizione dei voti.

Che gli studenti soffrano a causa dei voti e della presunta competizione che questi alimenterebbero e che alcuni di essi se ne sentirebbero addirittura mortificati è un’idea che alberga nella mente di qualche pseudoesperto che in una scuola non ha mai messo piede.

Appartengo ad una generazione che è andata scuola in tempi in cui la severità era considerata un valore, fioccavano i brutti voti e le bocciature, eppure nessuno faceva grandi tragedie, a volte si rimediava uno scappellotto, ma niente psicologi o psicopedagogisti, e poi si andava avanti cercando di migliorare.

Se vogliamo andare ancora a ritroso, mia mamma frequentò le “avviamento”, che erano le scuole medie di chi voleva (o doveva) andare a lavorare a 14 anni. Quelli erano anni in cui era richiesta una disciplina molto rigida, maestri e professori ogni tanto somministravano anche qualche bacchettata sulle dita. Generazioni traumatizzate? Non si direbbe e in più mi tocca ammettere che mia mamma possiede una cultura, in particolare una conoscenza della letteratura, che io con la mia laurea e il mio ottimo percorso scolastico mi posso sognare.

L’impressione, non solo mia, è che negli anni la minor severità, la maggior disponibilità e comprensione degli insegnanti, l’eccessivo ascolto delle istanze delle famiglie, abbiano cresciuto generazioni di ragazzi sempre più deboli, incapaci di reggere stress anche modesti e con preparazioni scolastiche sempre più misere (la televisione e i social ce lo confermano ogni giorno).

Ci mancava che anche l’Ocse dichiarasse pochi giorni fa che in Italia si boccia troppo, che le bocciature non servono a nulla, anzi costano, e che la scuola dovrebbe fare il possibile per recuperare gli studenti in difficoltà. Se si bocci troppo non lo so, l’Ocse dice il 17% ma non mi è chiaro calcolato come, immagino che si bocci il giusto. Condivido però che si dovrebbero sostenere adeguatamente gli studenti che faticano a tenere il passo pur impegnandosi, tanto più se, come pare emergere dai dati, appartengono spesso ai ceti più disagiati. Ma non è certo operando continui tagli alle risorse e agli organici che si può farlo. Sul fatto che la bocciatura non serva non sono d’accordo, perché spesso per lo studente si rivela un momento di svolta e presa di coscienza, riconosciuto anche dalle famiglie. La scusa, poi, che bocciare costa! Ma che razza di discorsi sono? Anche curare i malati costa e allora? E si è mai calcolato, in termini di Pil, quanto costi ad un paese introdurre dei perfetti ignoranti nel mondo del lavoro? Impariamo dai paesi che hanno deciso di sfidare la crisi investendo sulla scuola, scommettiamo sull’istruzione dei nostri ragazzi e in particolare su quella scientifica che, guarda caso, non fa grandi proseliti in Italia. E non è un caso, perché le materie scientifiche richiedono applicazione, impegno, costanza ed esercizio, fatica insomma, cosa con cui i ragazzi italiani non vanno molto d’accordo.

E, per concludere, l’abitudine di elargire voti alti pare riguardare anche molte università italiane dove i 110 abbondano, probabilmente perché parte dei trasferimenti ricevuti dallo stato dipendono dai risultati raggiunti, che si determinano anche sulla media dei voti dei laureati. Le conseguenze sono eserciti di laureati a pieni voti che si considerano dei geni e scrivono ai giornali “sono laureato con 110 e lode e non trovo lavoro” (cosa che potrebbero dire circa sette laureati su dieci!): la verità è che le aziende, in sede di colloquio, si rendono conto che la preparazione dei novelli Leonardo da Vinci è quantomeno carente!

Zigulì

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