L’importanza di votare
Mi scusi prof se mercoledì sono mancata al suo corso, ero troppo impegnata a insultare l’Unipd con nuovi, interessanti, irripetibili epiteti. Paradossalmente, l’ho insultata perché ci tengo. Forse gli studenti non l’hanno notato, ma ci sono appena state le elezioni universitarie. E io ho fatto la scelta, malsana e controcorrente, di andare a votare. Penso sempre che lì, nel segreto del seggio, con quella matita in mano siamo tutti uguali e soli con la nostra coscienza. Ci sono rimasta male la prima volta che ho votato, quando ho visto che la matita non tracciava quel bel segno nero che si vede in Tv. Ma ci sono rimasta ancora peggio mercoledì, quando ho scoperto che nemmeno al seggio mi era concesso di essere “normale”. Mi spiego meglio: mentre gli altri della mia facoltà vanno votare accanto al Maldura, io sono stata dirottata al Portello! Il Portello, capite? Uno dei posti più irrangiungibili di tutta Padova, che se non hai l’auto non so come fai. Avevo lezione al Maldura tutto il giorno, il seggio come tutti gli altri mi sarebbe stato comodo. E perché, allora, questo trasferimento? Perché sono disabile. Badate bene, non è discriminazione, è che molti seggi universitari al loro sono inaccessibili. Così, con le migliori intenzioni di venire incontro a tutti, non si è venuti incontro a nessuno. Il Portello, ma guarda te…non mi sarebbe mai passato per la mente una cosa simile, è stata la rappresentante degli studenti ancora in carica a informarmi della faccenda la mattina stessa di mercoledì. E mi ha detto di più: il loro candidato in sedia a rotelle ha rischiato di non votare perché non risultava disabile! Certo, sono d’accordo, non lo è, i veri disabili sono quelli che hanno affrontato questo problema dei seggi.
Nonostante questo io, ostinatamente, volevo votare, non fregarmene come avevo fatto l’anno scorso. Era giusto, solo per un giorno, togliere tempo alle lezioni per le elezioni. Così alle due e mezza mio padre mi viene a prendere in macchina. Lascio la Ottobock al Maldura perché non entra nel bagagliaio. Arrivo al Portello, trovo una carrozzina di servizio, finalmente voto, perdo un’ora, perdo la lezione di letteratura italiana due. Tutte le persone che incontro que pomeriggio mi provocano fastidio: quelli del seggio”speciale”, i ragazzi alle porte del Maldura che tengono in alto i cartelli con slogan del tipo “Anche Dante vota”. Certo, penso, ma Dante non deve andare fino al Portello per votare. Ma soprattutto, soprattutto, quel pomeriggio mi danno fastidio i compagni di facoltà che hanno il seggio vicino ma non ci vanno. Loro se ne fregano, loro sono letterati. Ebbene, non ci si salva dalla politica, mai. Penetra nel cervello, anche se fai il filologo.
Però li capisco, gli astenuti, in particolare quelli che frequentano storia romana, perché nell’antica Roma in fondo si discuteva di riforme e di modifiche al senato; più la studi, più sei divertito e terrorizzato, da come la storia sembra ripetersi e te ne senti risucchiato.
E ho capito, ho capito la differenza principale fra le elezioni universitarie moderne e quelle di pochi anni fa: prima c’era la lista uno contro la lista due, ora ci sono le liste uno e due contro l’astensione. Io voto, anche se può sembrare inutile, e a maggior ragione dovrebbe farlo chi ha il seggio comodo. Chiudete il manuale di storia romana, solo per un giorno, un’ora, e andate a votare.
Cecilia Alfier
Impegnata tra libri e scacchi, in movimento tra Padova e Torino, sempre con una forte dose di sarcasmo.