L’infinita guerra dei Curdi: dalla Seconda Guerra Mondiale al tweet di Trump
L’UE condanna l’attacco turco e dal Consiglio Ue per gli Affari Esteri s’innalza una sola voce: «Blocco immediato alla vendita di armi alla Turchia». Putin dà non ufficialmente avvio ad uno stravolgimento inaspettato sotto il profilo delle compagini in lotta e pone il proprio placet ad un’insolita alleanza fra la comunità curda e le forze siriane di Bashar al-Assad, fino a pochi mesi fa nemici su quel campo di battaglia che oggi li vede uniti nella lotta contro le forze armate turche. «In arrivo grandi sanzioni per la Turchia» tuona, invece, l’ultimo possente tweet del tycoon Donald Trump che, strigliato perfino dalla componente repubblicana del Congresso, vuole adesso porsi da mediatore fra Erdogan e la comunità curda, tentando di seppellire le recenti dichiarazioni che confessavano la totale ritirata degli USA da qualsiasi ruolo di gestione militare, strategica e politica sul territorio siriano. Un inelegante e pilatesco modo per liberarsi dalla guerra infinita di Siria e consentire all’alleato Nato un facile accesso nel Rojava. Le parole vergate da commenti, reazioni e visualizzazioni non possono, tuttavia, considerarsi rimovibili dalla memoria collettiva e se, laddove Trump oggi celebra, in ritardo, il primo ammonimento alla Turchia, cinque giorni fa pronunciava le motivazioni di un denegato assenso al soccorso delle forze curde, ciò non può ritenersi obliabile e non degno della dovuta analisi.
«A noi piacciono i curdi» piace dire al numero uno della Casa Bianca, che poi non si arresta e denuncia nel tweet dello scorso 10 ottobre: «I curdi non ci hanno aiutato nella Seconda Guerra Mondiale. Non ci hanno aiutato in Normandia, ad esempio».
Ricostruzione che, se lasciata affogare in un veloce cinguettio deputato alla leggera giustificazione di un atteggiamento dalle ben più complesse e rilevanti origini, non lascia spazio all’emersione della verità storica, ma anzi propone una visione distorta delle realtà passata e attuale, getta ulteriore confusione sulle conoscenze occidentali di una terra le cui vicende storico-politiche meriterebbero molta più attenzione.
E, dunque, dove si trovavano i Curdi nel lontano 1941, anno dell’attacco giapponese a Pearl Harbor?
La loro terra, il Kurdistan, oggi come allora lontana dal riconoscimento ufficiale, si trovava sotto la giurisdizione e il controllo politico della Turchia di Mustafa Kemal, detto Ataturk (il Padre dei Turchi), rinnegante l’emersione di qualunque cultura che non fosse quella prettamente laica e turca, e, soprattutto, dell’Iraq, dal 1932 libero dal Mandato Britannico e guidato dalla dinastia monarchica degli Hashemiti del sovrano in carica Faysal II. I curdi,formalmente protetti dalle clausole del trattato anglo-iracheno del 1930, videro, tuttavia, persa ogni forma di tutela proprio nei burrascosi mesi primaverili del 1941, quando, Rashid Ali Al-Gayani, nazionalista iracheno affine alle visioni delle potenze nazifasciste dell’Asse, influenzato dal leader radicale palestinese Al-Husayni e materialmente assistito da Germania e Italia, decise di compiere il colpo di Stato che consegnò il Paese al dominio filonazista del cosiddetto Quadrato d’oro. Furono i Curdi ad unirsi in massa presso il reclutamento delle forze locali adoperato dalla resistenza britannica e furono sempre i Curdi a figurare insieme ad altre numerose etnie irachene nell’alveo degli Assyrian Levie, l’esercito degli Assiri, che si rivelò fondamentale nella cacciata delle forze nazifasciste.
Così, dopo che il contingente curdo ebbe trionfalmente conquistato la postazione strategica di Falluja, i generali del Quadrato d’Oro scomparvero nello stesso maggio del 1941 e il medesimo contingente curdo fu inquadrato nei ranghi dei Paracadusti della First Parachute Company. Questa componente, come dedotto da Trump, non volò in Normandia per prestare soccorso alle forze schierate nell’Operazione Overlord, ma non in segno di ritirata rispetto alle attività militari volte all’abbattimento della supremazia tedesca in Francia, piuttosto in quanto già selezionata per costituire una valida componente di ausilio alle forze alleate asserragliate sul teatro dei Balcani, in ottemperanza alla visione strategica di Winston Churchill, desideroso di veder un vasto numero di soldati in Grecia e in Albania, dove appariva sempre più infuriante la dilagante espansione delle forze filo-comuniste.
La Seconda Guerra Mondiale dei Curdi, pertanto, esistette e non fu dedicata alla pigrizia, al pilatismo, all’accoglienza delle truppe dell’Asse, piuttosto ad un serio e gravoso impegno nel soccorso prestato agli Alleati, da cui ebbero origine migliaia e migliaia di morti che non saremo mai in grado ricondurre ad una quantità certa e definita. Seguirono gli anni della perdita della cittadinanza per i curdi in terra siriana, dell’aiuto offerto da Nixon e Pahlavi nella lotta contro l’Iraq filo-sovietico, facilmente risolto in un abbandono, e, quindi per i curdi turchi e iracheni, privi della necessaria assistenza atlantica, giunsero gli anni della nascita del PKK di Ocalan (Partito dei Lavoratori del Kurdistan) per l’istituzione di una repubblica indipendente, sogno poi trasformatosi dal 1984 negli anni del terrore, comprensivi della guerriglia in funzione antiturca, del genocidio operato da Saddam Hussein contro 182mila appartenenti all’etnia curda, del sostegno di Bush ad una rivolta curda contro Saddam e della conseguente fuga nelle montagne fra Turchia e Iraq, fino ai sette lunghi anni della guerra civile siriana contro le milizie dell’ISIS.
Questa è la storia. Che la si invii a Trump e al suo ghostwriter.
Classe 2000, figlia del XXI secolo e delle sue contraddizioni. Ho conseguito la maturità presso il Liceo Classico Eschilo di Gela e frequento la facoltà di Giurisprudenza presso l’Università di Trento