L’invivibilità della vita
Quante volte sarà successo di porsi domande sul significato della nostra esistenza, su che cosa ci rende davvero felici?
In una società in cui vige il mantra del progresso, del successo individuale, la felicità molto spesso si misura attraverso la condizione economica, il potere di influenzare decisioni di portata generale e quindi si è vol molte volte a rincorrere obiettivi preposti dalla cultura dominante, senza nemmeno domandarsi veramente se è ciò di cui abbiamo davvero bisogno. Quando ci accorgiamo che sono state le circostanze, le decisioni altrui che ci hanno deviato dalla via che volevamo davvero percorrere, non abbiamo più modo di rimediare. Rimaniamo incastrati in una vita che non abbiamo scelto, ma che per certi versi ci ha scelto come attori di un film, dove però non volevamo davvero recitare la parte del protagonista. Ciò ci rende necessariamente infelici e impossibilitati a trovare la via per uscire da una situazione, in cui ci siamo lasciati trasportare dal contesto in cui ci troviamo a vivere.
Una volta ottenuti quegli obiettivi che ci siamo preposti in precedenza non siamo comunque soddisfatti e dobbiamo porci altri mille traguardi da raggiungere, per non essere infelici. È la ricerca ostinata di un obiettivo più alto, di un sogno più vasto che rende sopportabile la vita, non il raggiungimento di tale obiettivo. È la ricerca dell’emozione, del confine ancora inesplorato che ci rende capaci di sopportare quella che è la vita. È inoltre la capacità di stupirsi, di non arrendersi alla quotidianità, al tedio, coltivare sempre nuove passioni, riuscire a condividere queste passioni con qualcuno che ci possa ascoltare, comprendere.
Come diceva, infatti, Carmelo Bene: «La felicità è nel differirla, non nell’averla». La fine di qualsiasi possibilità di essere felice, infatti, comincia nell’impossibilità di poterla ricercare. Tuttavia, è la spinta alla ricerca di essa che ci porta ad aumentare il pathos, l’entusiasmo, una volta avuta essa si esaurisce la spinta emotiva e ci rimane un vuoto che è possibile colmare solo investendo altre energie, altro entusiasmo in altri progetti di vita.
Per riuscire ad avere un controllo su un meccanismo perverso, figlio anche di una società dei consumi in cui i rapporti umani sono ahimè la maggior volte sterili e molto liquidi, come ricorda nei suoi saggi il famoso sociologo Zygmunt Bauman, bisognerebbe avere la fortuna di nutrirsi di rapporti autentici con amici e condividere più momenti da tatuare nella propria anima e rendere così più sopportabile la vita.