Lo scioglimento dei ghiacci polari continua
Da tempo il cambiamento climatico preoccupa il mondo e da tempo i suoi effetti sono visibili. Un chiaro e recente esempio è costituito dalla mancanza di precipitazioni da cui l’Italia è affetta da ben tre mesi. Tuttavia, l’avvenimento che ha sconvolto e rappresentato la vera wake up call di questi anni riguarda lo scioglimento dei ghiacci polari, esemplificato dalla vicenda dell’iceberg A68a, che negli scorsi anni si è letteralmente volatilizzato come neve al primo sole, comportando un grande rischio per l’ambiente. Il distacco di questo masso ghiacciato ha infatti rilasciato 150 miliardi di tonnellate di acqua nel mare.
Un problema conosciuto
Essendo diretta conseguenza del surriscaldamento globale, il problema dello scioglimento dei ghiacci polari non è certamente sorto ora. Come attestano alcune mappe pubblicate nel report IPCC, datato 2013, già allora il cambiamento climatico giocava un ruolo preponderante. Queste mappe raffigurano la concentrazione media di ghiaccio presente nel mare artico e antartico durante il periodo che va dal 1986 al 2005.
Le immagini sottostanti invece, rappresentano le simulazioni che gli addetti ai lavori hanno svolto per predire di quanto si sarebbe assottigliato il ghiaccio tra il febbraio e il settembre del 21esimo secolo. Da ciò che si evince dalle previsioni fatte, è destino che l’ammontare di acqua solida diminuisca vertiginosamente più ci si avvicina al periodo di settembre. La dimostrazione di quanto detto è semplice ed è sufficiente notare come la massa blu aumenti vertiginosamente nelle immagini riportate nel report.
La tesi di cui sopra è stata corroborata da un’ulteriore previsioni. Secondo le simulazioni del National Climate Assessment degli Stati Uniti (NCA), infatti, è certo che il livello di acqua sarà destinato ad alzarsi esponenzialmente. Le analisi sono state redatte considerando il periodo che intercorre tra il 1800 e il 2100. Dai dati raccolti gli esperti hanno stilato un grafico secondo il quale il livello del mare si alzerà da 1 a 4 piedi (ovvero fino a 1.2192 metri) entro il 2100.
L’inedita pioggia in Groenlandia
Nonostante sia tutt’oggi assai sottovalutato, lo scioglimento dei ghiacci polari continua in proporzioni importanti e con eventi che lo rendono ineludibile anche dall’occhio più volontariamente cieco. Il segno più lampante di questo cambiamento nefasto è datato 14 agosto 2021, data in cui la pioggia ha irrigato il suolo della Groenlandia per la prima volta nella storia. La gravità dell’accaduto è accentuata dal fatto che tale fenomeno atmosferico si è abbattuto su ghiacci a ben 3200 metri di altezza, luoghi dov’era impensabile rilevare fenomeni atmosferici diversi dalla neve fin dalle ere geologiche più remote.
Secondo i ricercatori, a causare la pioggia è stato un episodio di bassa pressione avvenuto sul Canada Settentrionale e potrebbe essere un fenomeno più unico che raro, ma preoccupante. La precipitazione, infatti, sembra un preludio per il grave scioglimento dei ghiacciai, che già un anno fa ha prodotto una quantità d’acqua grande quattro volte le dimensioni del Regno Unito.
Secondo sempre il report IPCC del 2013, già allora emerse un cambiamento nelle precipitazioni globali medie mondiali. Secondo gli esperti alcune parti della terra, che sono nelle immagini delineate in blu, si starebbero trasformando in zone con alto grado di piogge annue. Al contrario, altre aree si stanno progressivamente impoverendo e stanno divenendo secche.
Dall’aumento delle temperature polari allo scioglimento degli iceberg
L’evento richiamò l’attenzione mondiale e suscitò la preoccupazione degli addetti ai lavori, i cui monitoraggi fornirono altre prove del fatto che la questione dell’aumento delle temperature è più organica rispetto all’estemporanea precipitazione di una piccola quantità di acqua sopra un ammasso di ghiaccio millenario. La stazione meteorologica americana Summit Station, per esempio, ha rilevato nel 2020 una temperatura di 18 gradi nei pressi del Polo Nord, terzo record assoluto in dieci anni e condizione necessaria affinché si inneschi il rilascio di parte della calotta nel mare con conseguente scioglimento dei ghiacci polari.
Tale destino è toccato nel 2017 all gigantesco iceberg A68a. Questo pezzo di acqua in fase solida situato in Antartide aveva una superficie pari a quella della regione Liguria e costituiva la più grande lastra di ghiaccio presente all’epoca. Le sue dimensioni sono state calcolate dall’Agenzia Spaziale Europea (ESA), che ha stimato come l’iceberg avesse un’area pari a 6000 metri quadrati e un’altezza pari a 230 metri. Purtroppo, questa regione di ghiaccio ha rilasciato nei mari ben 150 miliardi di tonnellate di acqua, dato che questo gigante pesava in fase solida ben un trilione di tonnellate.
Perché il fenomeno è preoccupante
Secondo il nuovo studio condotto dai ricercatori dell’Università di Leeds, dello University College di Londra e del British Antarctic Survey (BAS), l’iceberg si è progressivamente ridotto fino a un’altezza di 168 metri, per poi disintegrarsi in tanti pezzettini nell’aprile del 2021.
Sebbene le conseguenze di quest’evento non si siano ancora palesate del tutto, sono facilmente prevedibili. Innanzitutto, il rilascio di una massa così ingente di acqua dolce potrebbe minare irreparabilmente la biodiversità del pianeta e gli equilibri biologici locali. Un tale ammontare di liquido non contiene soltanto idrogeno e ossigeno, ma anche sostanze pesanti quali il ferro e altri minerali, oltre a composti biologici di varia natura.
A questo proposito, ha dichiarato l’oceanografo del BAS Geraint Tarling: «Pensiamo che ci sia un segnale davvero forte nei cambiamenti delle specie di fitoplancton intorno ad A68a, e anche nell’effettivo rilascio di materiale nelle parti più profonde dell’oceano. Il sensore di particelle sull’aliante stava captando alcuni segnali molto forti di rilascio proveniente dall’iceberg».
Che sia troppo tardi o meno per impedirlo, lo scioglimento dei ghiacciai è in grado modificare radicalmente il mondo come lo conosciamo con una serie di reazioni a catena, rendendolo potenzialmente meno ospitale per l’umanità.
Laureata all’Università di Padova Ingegneria Chimica e dei Materiali e laureata magistrale in Ingegneria Chimica (Susteinable Technologies and Biotechnologies for Energy and Materials) presso l’Almamater Studiorum Università di Bologna.
Scrivo per La Voce che Stecca dal 16 luglio 2015 e su queste pagine mi occupo di cultura, musica e sport, ma soprattutto di scienza, la mia passione.