Lo sciopero sindacale dei minatori britannici del 1984-85
Agli inizi degli anni ’70, il Partito conservatore inglese acquistò sempre più consensi fino ad ottenere nel’ 79 la guida del Paese con Margareth Thatcher come primo ministro. La linea governativa non cambiò visto che il precedente premier, Edward Heath, ebbe come obiettivi la chiusura dei pozzi carboni, la liberalizzazione delle aziende di proprietà statale e liberalizzazione del mercato. In quegli anni, il sindacato dei minatori cominciò ad ottenere dei piccoli successi e alle elezioni successive il Partito laburista riuscì a vincere e a costruire un esecutivo. Il segretario dei conservatori, Heath, ex primo ministro, si dimise e quando si decise di votare un nuovo segretario del partito venne eletta Margareth Thatcher. L’industria estrattiva in Gran Bretagna era uno dei più importanti d’Europa, tutto questo grazie ai corposi sussidi statali che lo Stato erogava in un settore strategico per il paese, che nonostante fosse poco competitivo era di primaria importanza pubblica.
All’inizio dell’84, pochi anni dopo l’elezione di Margareth Thatcher, il Governo annunciò la chiusura della miniera di carbone di Cottonwood, nello Yorkshire: era solo l’inizio di ciò che avrebbe riguardato altri venti siti estrattivi, i quali occupavano 20mila persone. Il 5 marzo iniziò nello Yorkshire uno sciopero che sarebbe stato senza precedenti. Si fronteggiarono per mesi 165.000 minatori, rappresentati dal NUM, sindacato dei minatori guidato da Arthur Scargill, contro decine di migliaia di poliziotti, il governo Thatcher e il NCB(National Coal Board) che gestiva la produzione di carbone dal momento della nazionalizzazione dell’industria mineraria britannica, avvenuta nel 1947.
Intorno alla lotta, come sostegno ai minatori, si mobilitarono delle donne, che organizzano le mense comunali, dei negozianti di zona che fanno credito e sconti, dei sindacati internazionali, persino del movimento gay, che ospiterà fra applausi scroscianti una delegazione alla parade di Londra di quell’anno. I lavoratori vennero pestati, arrestati dalla polizia e furono ristretti fortemente i loro diritti di sciopero fino a equiparare questi manifestanti ai terroristi dell’IRA. Ciononostante, non si vollero arrendere fino al marzo dell’85, quando il NUM deliberò la fine dello sciopero. Furono costretti, stremati a tornare al lavoro, ma comunque fieri della loro resistenza contro il thatcherismo.
Tutta questa brutalità non fu dettata da motivazioni economiche, ma ideologiche. Era l’ideologia dell’individualismo, del ciascuno per sé, del ripudio di qualsiasi tentativo di aggregazione e condivisione. Era il liberalismo, che dopo aver provocato due guerre mondiali era tornato e voleva distruggere la legislazione sociale che i paesi europei avevano con fatica e sudore creato negli anni ’50 e ’60.