Luigi Giannelli: il senso del carcere

Luigi Giannelli è un commissario di polizia in servizio nel carcere di Rebibbia. Sicuramente un lavoro non semplice, raccontato però con grande entusiasmo da una voce che fa pensare ad una persona serena e orgogliosa della sua attività.

rebibbia

Commissario Giannelli il suo, all’interno di un carcere, è un lavoro particolare: come è arrivato a svolgerlo?
Dopo aver capito che gli studi servono a poco, 35 anni fa decisi di arruolarmi per avere uno stipendio e fare qualcosa di utile. Poi con il tempo finii per innamorarmi di un lavoro che ogni giorno dà qualcosa di buono, grazie al rapporto con persone deboli che hanno sbagliato o con persone «forti» che hanno voluto farlo, ma pur sempre persone.

Che tipo di carcere è Rebibbia?
È una struttura che ospita circa 1500 detenuti maschi, progettata dall’architetto Lenci che vi aveva immaginato degli «spazi aperti» che oggi possono essere adattati ai problemi di sovraffollamento che affliggono questo carcere come altri. Di giorno le celle vengono tenute aperte e all’aperto ci sono spazi dedicati allo sport, soprattutto calcio, tennis e pallavolo.

Quali sono i principali problemi all’interno di Rebibbia?
Soprattutto la presenza di detenuti di nazionalità e usanze diverse, cosa che crea spesso malintesi e incomprensioni. Il 45% dei detenuti è di origine straniera, in maggioranza rumeni, colpevoli soprattutto di furto se rom, di reati tecnologici, clonazione di carte di credito e violenza sessuale gli altri. La stragrande maggioranza degli italiani è invece in carcere per reati legati al traffico di droga. Comunque non si verificano mai atti di violenza.

Lei è l’ispiratore di moltissime iniziative per migliorare le condizioni di vita dei detenuti. Quali vuole ricordare?
All’interno di Rebibbia ci sono le scuole e due corsi universitari con tutor volontari che settimanalmente vengono ad incontrare gli studenti, c’è la biblioteca Papillon dove periodicamente vengono presentati dei libri, ci sono dei laboratori teatrali che hanno prodotto l’anno scorso due spettacoli in cartellone al teatro Argentina di Roma, ci sono attività religiose come la preghiera settimanale a padre Pio e anche un laboratorio di pittura creativa. Sono orgoglioso in particolare del torneo di Calciotto che si è concluso proprio ieri, con arbitri della Federazione Gioco Calcio e la presenza di artisti come la cantante Wilma Goich e i cabarettisti Nino Taranto e Gabriele Marconi.

L'opera di ZeroCalcare
L’opera di ZeroCalcare

È anche possibile lavorare?
Certamente sì, oltre ai lavori domestici di pulizia e cura degli ambienti, abbiamo il call center dell’ospedale pediatrico Bambin Gesù di Roma e la presenza di alcune aziende che forniscono contratti di lavoro. Voglio sottolineare la sensibilità e l’umanità degli operatori che rispondono al telefono alle mamme che chiamano per prenotare le visite per i loro bambini: spesso capita che le ascoltino e consolino.

Com’è la vita degli agenti di custodia in carcere?
Viviamo quotidianamente sia il dramma dei detenuti, con i quali a volte il rapporto è difficile, sia spesso un nostro malessere conseguente alla carenza di personale e ai problemi economici, anche se per me questo è il problema minore, perché è un lavoro che dà molte soddisfazioni. Si sta comunque affermando una figura nuova di polizia penitenziaria, presente anche fuori dal carcere, in tribunale e in ospedale per i piantonamenti.

Che legami riescono a mantenere i detenuti con le loro famiglie?
Gli italiani buoni perché sono permessi sei colloqui al mese più le telefonate, mentre per gli stranieri è difficile a causa della lontananza dai paesi d’origine. Va detto però che spesso con la condanna si rischia di perdere legami importanti, la fidanzata che ti lascia, la madre anziana che non può farti visita, il fratello che ti abbandona.

Dopo tanti anni di esperienza, cosa pensa debba essere un carcere?
Un luogo solo per chi non possa essere immediatamente reinserito nella società, un luogo per riflettere, per accettare, per essere recuperato, dove si possa studiare e lavorare e che possa allargarsi all’esterno. Le vittime del reato non vogliono la vendetta, ma che il reo sia recuperato e restituito alla società. E poi dobbiamo pensare a certe zone degradate del nostro paese, come Scampia o le Vele, dove non c’è nessuna cultura sociale, dove dobbiamo portare la legalità e creare spazi per incontrarsi e condividere.

Vuol quindi dire che dobbiamo evitare che le persone finiscano in carcere?
Sì, bisogna prevenire e recuperare e soprattutto non avere pregiudizi, perché come dice il Vangelo, «Chi è senza peccato, scagli la prima pietra».