L’Unione Europea si lascia minacciare da Erdogan

Nel 2016 l’Unione Europea, che durante i mesi precedenti aveva affrontato uno dei momenti più bui della crisi migratoria, firmò un accordo con la Turchia sulla base del quale quest’ultima si impegnava, attraverso ingenti finanziamenti da parte dell’UE, a limitare gli attraversamenti via mare di migranti dalle proprie coste e ad accogliere nel proprio territorio molti tra coloro che quell’attraversamento l’avevano già compiuto riuscendo infine ad approdare in Grecia. Allora, benché Erdogan si fosse già affermato alla guida del Paese e la sua ostilità nei confronti della minoranza curda fosse già nota, nessuno si era immaginato il voltafaccia che il presidente avrebbe messo in atto solo tre anni dopo aggredendo militarmente la regione curda del Rojava a nord della Siria.

All’indomani dei primi attacchi, avvenuti ormai una settimana fa,  il presidente turco ha fatto sapere che se la comunità internazionale non sosterrà «gli sforzi del nostro paese, dovrà cominciare ad accettare i rifugiati». Nulla di sorprendente se si tiene conto di chi questa grave dichiarazione l’ha rilasciata, eppure le parole di Erdogan questa volta sono risuonate più pericolose del solito. Non serve infatti un eccessivo sforzo di interpretazione per scorgere in quest’ultime i tratti di quello che a tutti gli effetti può essere considerato un mero ricatto, il cui oggetto di scambio è, come sembra ormai essere d’abitudine, la vita umana. 

Non ci sono dubbi che il presidente turco conosca le sue carte: la minaccia di rompere l’accordo sui rifugiati rappresenta per l’Unione Europea uno scenario ingestibile, l’ultimo che potrebbe auspicarsi di dover affrontare in questo momento di crisi. Se la Turchia decidesse di mettere in atto quanto finora ha affermato solo a parole, la possibilità che le forze di Daesh si rafforzino è da considerarsi scontata. 

Quello che sembra sfuggire ai governi europei è che se ciò dovesse verificarsi la colpa sarebbe da imputarsi tanto alla spregiudicata offensiva di Erdogan in Siria quanto alla debolezza e incertezza europee nel reagire. Finora, nonostante diversi siano stati i governi del Vecchio Continente a condannare ufficialmente le azioni di Ankara, la controffensiva è rimasta ad un livello puramente formale, relegata a dichiarazioni di circostanza troppo astratte per poter essere considerate efficaci prese di posizione. 

Così mentre le istituzioni internazionali si interrogano sui prossimi messaggi di solidarietà da dedicare al popolo curdo e l’unica disputa ad affermarsi rimane quella diplomatica dei comunicati ufficiali, alla Turchia di Erdogan viene lasciato terreno libero per avanzare nella regione rendendo la possibilità di istituire la cosiddetta «zona cuscinetto» tra Siria e Turchia ogni giorno più reale. Come se ciò non bastasse all’inconsistenza delle azioni europee si aggiunge  la politica filo-turca di Donald Trump che, dopo aver lasciato i curdi alla mercé dei turchi con il ritiro delle truppe americane dalla Siria, ha reso pubblico l’accordo raggiunto con Erdogan per un cessate il fuoco di cinque giorni che permetta, ironia della sorte, ai curdi, a coloro che sono stati attaccati, di ritirarsi. 

Deve avere un amaro sapore di déjà-vu per il popolo curdo questo ennesimo voltafaccia, una storia che sembra ripetersi a conferma del triste proverbio che vuole che «I curdi non hanno amici a parte le montagne».