Marco Marchi – Il fango sullo stivale
Il fango sullo stivale
Marco Marchi
Prospettiva Editrice – 2014 – 12 euro
Diciamocela tutta, prima di parlare dei contenuti della raccolta di racconti firmata da Marco Marchi: la copertina e l’edizione sono orrende. Siamo tutti d’accordo che quello raffigurato sia uno stivale infangato che allude inevitabilmente al titolo del libro, però è altrettanto vero che immagine peggiore non si poteva scegliere: quel misto di bianco-ospedale e di sterile freddezza non sfuggono neppure al lettore distratto. Come non sfugge nemmeno l’edizione che economica è dir poco: una copertina di bassissima grammatura e una fresatura la cui colla si secca nel giro di poche settimane e le pagine rimangono attaccate solo grazie a qualche sputo che ancora regge. E, vi assicuro, la mia copia ha vissuto sulla mia scrivania da quando è giunta a casa mia sino ad oggi: nessun ambiente umido che potesse intaccare la condizione del libro. Si aggiungano pure gli accenti nelle maiuscole, che ormai nessuno scrive più utilizzando l’apostrofo: E’ al posto di È, per fare un esempio. Dobbiamo ammetterlo: è difficile trovare un altro esempio di harakiri che tenga testa a Il fango sullo stivale: come si fa ad invogliare il lettore con una presentazione come quella appena descritta?
Ed è un peccato: Marco Marchi si muove fra il sociale, la politica e il costume con una disinvoltura strabiliante, riuscendo spesso a condire la narrazione con elegante ironia. Ci sono le poesie-racconti come Rapsodia Moderna, il giornalista minacciato dai terroristi, le riflessioni sulle missioni militari all’estero e così via. Marchi, trentasettenne padovano, dà prova di una grande abilità e di una penna agile ma al contempo precisa e spesso spietata. Tutto il contrario da ciò che ci si aspetta trovandosi davanti al libro. Il fango sullo stivale è una raccolta che si legge in fretta ma che lascia comunque qualcosa dentro di noi: una sorta di consapevolezza «interrogativa»: una serie di domande che forse mai ci siamo posti o che probabilmente, pur ponendocele, abbiamo preferito accantonare in un cassetto. «Una narrazione che ha il sapore dei testi di Giorgio Gaber e di Fabrizio De André», si legge nella quarta di copertina (altra immagine orrenda nello sfondo): sono paragoni pesanti che non ci sentiamo di fare. Forse è meglio così: l’agilità della narrazione di Marchi non ha bisogno di macigni sulle spalle.
VOTO
P.S. La nostra valutazione, come è ovvio, riguarda il libro nel suo insieme: edizione e contenuti.
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