Ungheria: i migranti contro l’identità etnica

«Chiunque, come l’Ungheria, che costruisce barriere contro i rifugiati di guerra o viola la libertà di stampa e l’indipendenza del sistema giudiziario dovrebbe essere temporaneamente, o anche definitivamente escluso dall’Ue». Queste sono le parole di Jean Asselborn, ministro degli esteri del Lussemburgo.

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Asselborn è molto critico sulla politica riguardo migranti e rifugiati dell’Ungheria, dove un muro di filo spinato lungo 175 chilometri e pattugliato da circa 10mila uomini, cerca di tenere gli «intrusi» al di fuori dello Stato e dove il 2 ottobre i cittadini saranno chiamati a votare in un referendum che si preannuncia un plebiscito contro il progetto delle quote di distribuzione tra i paesi membri. L’Ungheria, che dovrebbe ricevere solo 1300 rifugiati, pensa che tale risoluzione possa essere un cavallo di Troia che porterebbe alla distruzione del profilo socio-culturale del Paese, come afferma il premier Orbán, secondo il quale il sistema «ridisegnerebbe l’identità etnica, culturale e religiosa dell’Ungheria, cosa che nessun organismo dell’Ue ha il diritto di fare». La presunta ingerenza dell’Unione nella politica nazionale è ribadita anche dal portavoce Zoltán Kovács, che dichiara che «ospitare migranti non può essere un obbligo, soprattutto per quei paesi che non vogliono immigrati e non li considerano una risorsa».
La visione del governo ungherese è completamente ortogonale rispetto a quella di molti altri Stati membri e tale differenza è, probabilmente, inconciliabile. L’Ungheria contribuisce per meno dell’1 per cento al budget dell’Unione, ma riceve da essa più del 6 per cento del suo Pil. Inoltre, nel ’56, erano gli ungheresi i rifugiati che si riversavano in Europa, in fuga dai carri armati sovietici. Malgrado ciò, essi respingono ogni parallelismo economico o storico, forti di uno strenuo nazionalismo. Al di là di una quasi ovvia ipocrisia di fondo, questo rifiuto di confronti “scomodi” rientra nei loro diritti e puntare su una riconoscenza di qualsiasi tipo non può che rivelarsi fallimentare. Se però l’Unione Europea è davvero qualcosa di più rispetto ad una mera rete di accordi finanziari, allora è allo stesso tempo diritto, o, meglio, dovere della stessa prendere seri provvedimenti in merito a comportamenti contrari agli stessi principi fondamentali su cui si fonda. Come dice Asselborn, «non possiamo permettere che i valori fondamentali dell’Unione Europea siano infranti in modo tanto grave».