Il mio primo exploit
La mia prima missione è stata semplice, ma non ne conoscevo compiutamente i presupposti e le conseguenze. Un pomeriggio ho trovato una busta da lettera sotto la porta di ingresso del mio appartamento. Dopo averla raccolta mi sono diretto verso il divano giallo per sedermici. Ero agitato per la lontananza di Greta e per il contenuto di quella missiva. Questa consisteva in una fotografia in cui era ritratta una ragazza. Oltre la bellezza del soggetto, quell’immagine non mi diceva nulla, ma sul retro di essa ho trovato un indirizzo e un messaggio: Piazza di S. Giovanni della Malva e ON. La piazza indicatami si trova nel quartiere di Trastevere in Roma. ON, invece, era il mio codice di attivazione. Pertanto, mi sono recato presso quel luogo, a me ignoto e,per non dare nell’occhio, ho iniziato a passeggiare nel quartiere perdendomi nei suoi vicoli. Tutto intorno sapeva di antico: profumi, suoni, odori mentre io, in quel contesto, ero un pesce fuor d’acqua. La mia estraneità era dovuta a ciò che stavo per fare, così nuovo, strano e pericoloso. Sono giunto con questi pensieri nella piazza, sembrava di essere al riparo dal caos giovanile che caratterizza quella zona della Capitale. Infatti, l’unico bar presente non aveva clienti.
Non appena vi sono entrato ho scoperto che l’unico cliente era proprio la ragazza ritratta nella fotografia. L’adrenalina mi ha scosso e ricordato della missione. Dovevo hackerarla utilizzando un trojan scritto integralmente da Greta. La ragazza era completamente presa dal monitor del suo computer portatile. Ho preso posto al tavolo di fronte al suo mentre aspettavo un caffè. Tenevo una mano dentro la tasca del pantalone e stringevo in essa una pendrive. Giravo lo zucchero, in attesa che il caffè diventasse meno bollente: «È bellissima questa città, sono appena arrivato e non voglio più andarmene». Lei: «Non è tutto oro quel che luccica. Io da qui scapperei volentieri». «Sostituiresti la tua vita con la mia?», le ho domandato. La ragazza: «Non so chi sei e da dove vieni, ma se davvero fosse possibile abbandonerei questa mia vita di merda».
Era giovanissima, ma molto provata dal suo vissuto. Ho lasciato che il silenzio parlasse per entrambi. Una lacrima stava per solcarle il viso. In quel momento le ho chiesto: «Voglio mandare alcune foto di Roma alla mia famiglia, ma tutti i miei dispositivi hanno deciso di spegnersi per sempre. Me le faresti inviare dal tuo pc?». La giovane: «Non c’è problema, ho bisogno del bagno. Fai pure».
Con molta tranquillità ho inserito la pendrive in una porta USB. Il seguito è stato eccitante e fluido. Sul raspberry pi ho lanciato dal terminale i comandi e i parametri che avevo imparato da Greta: RHOST, LHOST, LPORT e, infine, exploit. La mia sconosciuta vittima era ancora nel bagno e Greta, dal momento del lancio del mio primo exploit, poteva accedere da remoto a tutto quanto poteva trovarsi in quel pc. Ho ripreso subito la strada di casa, non avrei sopportato di vedere ancora quel bellissimo volto segnato dalla sofferenza, sapendo di aver contribuito al suo malessere. Successivamente ho saputo che, nel tempo del mio rientro, Greta puntava una pistola alla testa di un uomo legato mani e piedi ad una sedia.
Si trovavano in un capannone abbandonato presso l’autostrada A1: «Egregio Presidente, la informo che abbiamo appena hackerato sua figlia. Abbiamo scoperto che lei l’ha costretta a prostituirsi e che si è impossessato dei relativi introiti. Sappiamo dell’esistenza di foto e video di sua figlia sui luoghi di lavoro. Molti dei suoi colleghi sono clienti di sua figlia. Non mi interessa sapere se è un depravato o un cinico ricattatore, ma lei ora ha una sola alternativa: o ci consegna l’archivio oppure tutto il mondo conoscerà quello che abbiamo appena scovato».