Perché è giusto che Charamsa lasci la Chiesa
«Voglio che la Chiesa e la mia comunità sappiano chi sono: un sacerdote omosessuale, felice e orgoglioso della propria identità. Ho un compagno. Sono pronto a pagarne le conseguenze, ma è il momento che la Chiesa apra gli occhi di fronte ai gay credenti e capisca che la soluzione che propone loro, l’astinenza totale dalla vita d’amore, è disumana». Ha dichiarato alcuni giorni fa al Corriere il teologo monsignor Krzysztof Charamsa. Immediata la risposta del Vaticano attraverso padre Federico Lombardi: il sacerdote «non potrà continuare a svolgere i compiti precedenti presso la Congregazione per la dottrina della fede e le università pontificie, mentre gli altri aspetti della sua situazione sono di competenza del suo Ordinario diocesano». E subito è stato un tripudio di critiche sul web: retrogradi, conservatori e altre simili amenità.
Chi scrive, con le sue idee che probabilmente sono note a tutti, non capisce tutto questo sdegno: diventare prete, soprattutto se poi come Charamsa si raggiungono le «alte sfere», significa sottostare ai doveri che la Chiesa ti impone: il celibato è uno di questi. Se non puoi o non vuoi (più) ubbidire a questa regola – che, giusta o sbagliata che sia, rimane una regola – nessuno ti obbliga a rimanere e nemmeno puoi lamentarti se ti mandano via. Secondo Saverio Tommasi, seguitissimo giornalista che collabora con Fanpage.it, Charamsa è stato allontanato a causa della sua omosessualità e non del fatto che aveva un compagno. Non cambia molto nel nostro ragionamento: puoi benissimo cercare di cambiare da dentro un’istituzione che non accetta gli orientamenti sessuali «diversi», bene bravo bis, però anche in questo caso non te la prendere se poi ti mandano via. C’è da dire che monsignor Charamsa non ha proprio proprio azzeccato la mossa affiancando al proprio coming out la notizia di un libro in cantiere: non mettiamo in dubbio che la sua omosessualità sia vera però messa così può sembrare quasi uno strumento di marketing. Tommasi ha poi elencato le «100 cose peggiori dell’essere gay, ma per cui non sarebbe mai stato allontanato dalla Chiesa»: siamo tutti d’accordo che la Chiesa è un’istituzione che si mostra come anacronistica ogni giorno di più ma, caro Saverio, che ti aspettavi?
«Sono pronto a pagarne le conseguenze», ha detto il prete, dimostrando molto più realismo di tanti che lo stanno difendendo in queste ore: sappiamo tutti quale sia il livello dell’istituzione Chiesa (è notizia di ieri di un prete che attribuisce ai bambini l’iniziativa che porta i sacerdoti ad abusare di loro). Di che vi stupite? Avete vissuto fino a qualche giorno fa nell’isola di Utopia? Si può condividere o meno le posizioni della Chiesa, però queste sono ed è impensabile che mutino da un giorno all’altro. Tanto coraggioso è stato Charamsa, tanto ingenui paiono i suoi difensori.
Giornalista professionista e fotografo. Ho pubblicato vari libri tra storia, inchiesta giornalistica e fotografia
La storia di Charamsa è uguale a quella di tanti altri preti che si scoprono innamorati e che vogliono sposarsi. Tutti hanno svestito l’abito talare e si sono fatti una famiglia. Tanti auguri, don, quindi!