A morte il «logos» e l’autostima
l logos è morto: inteso sia come «parola» che come «ragionamento», si riferisce a entità che non appartengono al Ventunesimo secolo. Di «parole» ne diciamo a bizzeffe: ne sono colmi i programmi televisivi, le nostre giornate e pure la nostra mente. Ma sono parole senza ragionamento: fini a se stesse e senza alcun ascoltatore. Viviamo nell’epoca della tecnologia: persino concepire questo blog non sarebbe stato possibile trent’anni fa. Nonostante però questa totale e incondizionata connessione che ci unisce tutti, grazie alla quale sembrano sparire differenze sociali e culturali, abbiamo lasciato morire il logos. Lungi da chi scrive definire il momento storico in cui viviamo come la causa di questa assenza di comunicazione utile: è troppo facile trovare un capro espiatorio quando non si ha ben chiaro il motivo per cui un fenomeno accade. È successo. Basta.
Il decesso della comunicazione utile – come mi pare efficace definire il logos in ambito concreto e quotidiano – ha portato alla scomparsa della discussione: il nostro individualismo protezionista ci ha portati a evitare ogni confronto, quando è proprio esso il pane che nutre le nostre idee e permette loro di rafforzarsi. La politica è divenuta la terra dell’insulto, della lite e della lotta fra bande per tenersi stretto quell’angolo di paradiso che hanno faticosamente conquistato; i giovani – e chi scrive non pretende di essere immune al fenomeno, purtroppo – tendono a parlare di niente per non discutere del tutto che li circonda, e soprattutto del tutto che hanno dentro di sé. Ci si chiude e non si lascia passare nemmeno un alito di confidenza: sono soprattutto gli spifferi ad essere fastidiosi. Si cercano idoli, non maestri, perché i primi, a differenza degli altri, non cambiano idea.
Il termine «conformismo» non è adatto a definire questo strano e masochistico fenomeno: l’apparenza si adegua alla massa, ma l’essenza dell’individuo rimane se stessa, terrorizzata dal confronto con gli altri: non sia mai che cada anch’essa sull’altare dell’omologazione. Non volersi mettere in discussione porta a curiosi fenomeni, ecco un emblematico esempio: chi è ricco spende in apparenza, non in esperienza. Ci si prende il Suv perché così gli altri possono capire quanto guadagni, le mete delle vacanze sono sempre posti «alla moda» perché così si rimane all’interno del proprio ambiente. Non è questione di conto in banca ma di mentalità: i soldi diventano un lucchetto enorme da appiccicare al portone delle proprie idee, permettono all’individuo di rimanere solo con se stesso e con i suoi simili. Un’enorme combriccola di insicuri che non perdono occasione per discutere del nulla, per non mettere in discussione tutto quello su cui hanno puntato fino ad ora. Che spendano il loro patrimonio per andare un anno in India, per esempio: il viaggio non turistico è il modo più semplice per esercitare il logos.
Tornando all’individuo, di sicuro più interessante di una mandria di pecore: la morte del ragionamento è evidente ogni giorno: se c’è un problema ci si arrabbia, si litiga e alla fine si tronca quel rapporto. Non che, grazie al logos, tutto debba filare sempre liscio, ma la discussione fra esseri umani è fondamentale e imprescindibile. Discussione composta di parole e ascolto. Per quanto le prime siano spesso eccessive, fermarsi ad ascoltare l’altro è un pregio di pochi.
Giornalista professionista e fotografo. Ho pubblicato vari libri tra storia, inchiesta giornalistica e fotografia
Tito Borsa sta dimostrando di diventare ogni giorno sempre di più un grandissimo intellettuale.
“Si cercano idoli, non maestri, perché i primi, a differenza degli altri, non cambiano idea”: una frase che chiunque dovrebbe appendersi in camera. Generoso il fatto che nemmeno Borsa si mostri immune da questa epidemia di individualismo “protezionista”, che poi sfocia nel conformismo!
Eccellente lavoro
Pienamente d’accordo: stiamo dimenticando il contatto con gli altri ma, nonostante Borsa lo escluda, la causa è semplice: siamo sempre col nostro iphone a scazzare il mondo
A conferma che studiare filosofia serve alla mente, anche se forse non al portafoglio ( con buona pace di Stefano Feltri )