Dario Fo: in morte di un uomo libero e coerente
Vi dico la verità: di fronte a questo consueto italico tripudio post-mortem nei confronti di Dario Fo, cosa che probabilmente non avrebbe neppure gradito, vi confesso che non l’ho mai considerato un maestro di pensiero. Avevamo idee politiche agli antipodi, a me la sua lingua, il «grammelot», mi ha sempre urtato, infastidito, e il teatro (come il cinema, del resto) troppo spesso mi annoia terribilmente.
Nonostante tutto questo, però, non posso negare che Dario Fo, e d’altra parte Franca Rame, mi abbiano insegnato due regole che cerco di esercitare tutti i giorni, specie quando scrivo: essere libero ed essere coerente.
Non mi voglio lanciare nell’ennesimo coccodrillo che sarebbe l’ennesima goccia nel mare delle celebrazioni, ma ricordarvi che stiamo parlando di una persona libera e coerente. In quanto «uomo» ha detto delle cose giuste e delle grandissime sciocchezze, come le posizioni prese sul caso Sofri-Calabresi e la sua militanza nel «Soccorso rosso» che, nel 1975, lo portò a definire Giancarlo Caselli il «servo sciocco di Dalla Chiesa». Erano altri anni e Dario Fo ha sempre preferito stare «dentro» la realtà e non «sopra».
È morta una persona diversissima da me ma non per questo non posso riconoscere la sua grandezza, la sua cultura, il suo apporto più culturale che politico alla crescita di questo paese. Chi nega questo, non sa di che sta parlando.
Giornalista professionista e fotografo. Ho pubblicato vari libri tra storia, inchiesta giornalistica e fotografia