Mps e Unicredit: ultimo capitolo per la saga delle banche?
La crisi delle banche ha raggiunto l’apice ed è sfociata in un salvataggio di Stato che costerà probabilmente agli italiani 6,5 miliardi di euro, e ora oltre al danno la beffa: Monte Paschi ci avvisa che serviranno non «solo» 5 miliardi per salvare la banca ma 8,8, perché la priorità è colmare tutto il deficit emerso dagli stress test di luglio.
Alcuni potrebbero sostenere che questa era l’unica soluzione e forse ora, grazie a questo intervento e con un buon piano finanziario, si avrà l’opportunità di risolvere finalmente la situazione: ma possibile che nessuno si sia accorto prima del problema? E com’è possibile che nessuno sappia dare a noi italiani una giustificazione? Sembra quasi che la responsabilità non sia di nessuno o che nessuno voglia assumersela.
I dati ci dicono che Mario Draghi era governatore di Banca d’Italia nel 2007 quando Mps investì 17 miliardi per comprare banca Antonveneta, pagandola almeno il doppio del suo valore e senza compiere alcuna due diligence, ovvero una stima dei bilanci dell’istituto padovano, segnando così un investimento suicida.
Saltano all’occhio le dichiarazioni di Ignazio Visco che nel gennaio del 2013 dichiarò: «Mps non ha problemi di tenuta». Il dramma è avvenuto dopo quando Fabrizio Viola, ceo di Mps in quel periodo, aumentò il capitale della banca di 5 miliardi nel 2014 e di 3 miliardi nel 2015.
Risultato finale: dal 2013 la banca senese ha prodotto una voragine pari a 17 miliardi di perdite.
Inoltre da mesi si tentava di attuare una ricapitalizzazione di mercato per cui c’erano poche speranze e che evidentemente alla fine non ha prodotto i risultati auspicati.
La soluzione presa dal governo è questa: creare un fondo di 20 miliardi al fine di ricapitalizzare gli istituti in difficoltà e garantirne la liquidità, programmando un piano d’attacco in grado di risollevare le banche e l’economia italiana. Secondo Bankitalia 2,5 miliardi della somma destinata a Mps possono immediatamente ritornare nelle casse statali se la banca emetterà bond subordinati per finanziare il capitale.
Ieri la banca senese ha effettuato due emissioni di titolo per l’equivalente di 7 miliardi e ovviamente, come sottoscritto dal decreto legge salva banche, il garante di tali emissioni sarà lo Stato.
Il piano prevede che nel 2017 l’istituto emetta bond per un ammontare di al massimo 15 miliardi prer riuscire a colmare la mancanza di liquidità della banca, ed entro maggio è prevista la partecipazione del tesoro pari al 70%.
Tuttavia tutti sono in trepidante attesa del cda del 23 febbraio dove si stilerà e discuterà il piano industriale di mps ovvero si darà inizio alla partita con l’Europa che decreterà il futuro della banca senese. Sembrerebbe che le possibilità siano due: la cartolarizzazione con Atlande, ovvero la cessione completa dell’istituto o la creazione di una bad bank come era stato fatto per etruria e le altre banche.
Ma la storia non finisce certo qui e la vera nota dolente è che nella lista dei disastri da salvare purtroppo non c’è solo Monte dei Paschi.
La Popolare di Vicenza e Veneto Banca necessitano di 3 miliardi per rimettersi in sesto e a Carige, Caricesena e Carim almeno 1 miliardo.
Inoltre nel decreto potrebbe essere presente anche una concessione di altri sei mesi di tempo per trasformare le popolari in società per azioni e ora che il Consiglio ha bocciato il divieto per il diritto di recesso, ovvero lo stop che avevano imposto le banche in difficoltà come Ubi, Pop Vicenza e Veneto Banca per impedire ai soci di fuggire.
Oltre a Mps l’altro dente cariato si è rivelato essere Unicredit che necessita un aumento di capitale pari a 13 miliardi, un importo maggiore persino della banca senese. Dai conti emerge che il 2016 è terminato con un ammasso di perdite pari a 11,8 miliardi, derivati in parte anche dalla svalutazione di Atlante, ovvero il fondo stipulato per salvare Veneto Banca e la Popolare di Vicenza, e in parte anche dai contributi per il Fondo di Risoluzione Nazionale. Dopo un totale di sette ispezioni solo quest’anno, da parte della Bce ora l’ultimatum è chiaro: o i conti vengono messi in riga oppure si dovrà applicare il bail-in.
Tuttavia alla fine della fiera il comune denominatore di tutti i problemi è sempre uno: le sofferenze.
In questo caso Unicredit ne possiede 51 miliardi e, anche se ha già concluso due accordi per cederne 17 a Fortress e Pimco, la Bce chiede un ulteriore smaltimento di non performing loans entro il 28 febbraio, e sembra che nonostante tutto una ricapitalizzazione sia necessaria.
Ad oggi dopo tutti questi avvenimenti e come se non bastasse anche i problemi e le paure riguardanti le Assicurazioni Generali che anziché risanarsi stanno peggiorando la propria situazione e che sembrano in bilico in una lotta tra cannibali che ne stanno strappando un pezzetto alla volta ci rendiamo forse conto che ciò che sta succedendo sembra essere solo la punta di un iceberg gigante che nasconde ancora chissà quali problemi e che la nave che ci ha sbattuto contro questa volta non è il Titanic ma l’Italia.
Laureata all’Università di Padova Ingegneria Chimica e dei Materiali e laureata magistrale in Ingegneria Chimica (Susteinable Technologies and Biotechnologies for Energy and Materials) presso l’Almamater Studiorum Università di Bologna.
Scrivo per La Voce che Stecca dal 16 luglio 2015 e su queste pagine mi occupo di cultura, musica e sport, ma soprattutto di scienza, la mia passione.