Niente Islam, solo assassini di libertà
Urlare che «siamo in guerra» non significa niente: ammesso e non concesso che questa affermazione sia vera, si tratterebbe di una guerra diversa da tutte le precedenti. Si tratta di uno scontro fra l’Occidente e se stesso: abbiamo già visto a gennaio, con la strage a Charlie Hebdo, che i «nemici» sono uguali a noi: non è la religione il discriminante, ma la follia. E come si può sapere a priori chi sarà così folle da compiere un attentato? Ci sono i servizi segreti che però venerdì sera hanno dimostrato di non essere certo infallibili. È triste da dirsi ma l’unica cosa da fare a questo punto è non partecipare al gioco perverso dei terroristi.
Gli attentati compiuti da uomini della porta accanto difficilmente non insinuano in noi il seme del dubbio: di chi possiamo fidarci? «Non certo degli islamici», direbbe qualcuno. Ed ecco scattare il meccanismo diabolico che è ciò che il terrorismo vuole. L’insicurezza, la sensazione di precarietà, il terrore appunto sono i componenti di questo gioco al massacro e portano inevitabilmente alla morte di quella libertà che ci siamo faticosamente guadagnati.
Non è contro l’islam che dobbiamo lottare ma contro questi assassini di libertà: quasi 130 persone sono morte venerdì e la loro unica colpa era vivere in uno Stato libero. Vogliamo dare la vittoria ai terroristi a tavolino? Vogliamo davvero arrenderci a gente che crede di trovarsi delle vergini a propria disposizione perché è morto uccidendo in nome di Dio? O vogliamo forse ripudiare quei diritti solo perché rischiamo di morire per loro?
Giornalista professionista e fotografo. Ho pubblicato vari libri tra storia, inchiesta giornalistica e fotografia