Note a margine sul vilipendio, idiozia monarchica

Chiunque offende l’onore o il prestigio del presidente della Repubblica,
è punito con la reclusione da uno a cinque anni.
(Art. 278, C.P.)

Chiunque pubblicamente vilipende la Repubblica, le Assemblee legislative o una di queste,
ovvero il Governo, o la Corte costituzionale o l’ordine giudiziario,
è punito con la multa da euro 1.000 a euro 5.000.
La stessa pena si applica a chi pubblicamente vilipende
le forze armate dello Stato o quelle della liberazione.
(Art. 290, C.P.)

Chiunque pubblicamente vilipende la nazione italiana
è punito con la multa da euro 1.000 a euro 5.000.
(Art. 291, C.P.)

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Nel codice penale nostrano il delitto di «vilipendio» è presente in 9 articoli: escludendo il vilipendio di cadavere, delle tombe e della religione che non ci interessano, concentriamoci piuttosto sugli altri, ossia: del presidente della Repubblica, delle istituzioni, della Repubblica stessa, delle forze armate, della bandiera o degli stemmi italiani o di uno stato estero.
Il presidente della Repubblica, in uno Stato in cui viga l’uguaglianza fra i cittadini, non può avere un diritto in più dei suoi simili: se ci pensiamo chi offende il mio «onore» e il mio «prestigio» non rischia nulla, chi offende quelli di Mattarella rischierebbe la reclusione. Questo porta a pensarci due volte prima di aprire la bocca. Ed è, a nostro modestissimo parere, un’idiozia contraria a tutti i principi liberaldemocratici e che ha sapori monarchici.
Discorso diverso (ma conclusione identica) per la Repubblica e le istituzioni: pagare 5mila euro per aver offeso il governo pare una barzelletta, e invece no. Evidentemente risulta troppo difficile evitare il vilipendio con l’educazione dei cittadini e, soprattutto, con dei governi migliori. Stessa cosa vale per le forze armate e per la nazione italiana.
Tentiamo di evolverci e cerchiamo di fondare uno Stato basato sulla responsabilità e la libertà dell’individuo, senza un codice penale dal retrogusto paternalistico.