Nudo, la censura dei social: il libro di Tito Borsa
Pubblichiamo un estratto del capitolo «La censura dei social» di Nudità, il libro fotografico e di teoria della fotografia di nudo pubblicato da Tito Borsa per Youcanprint (16 euro)
Scattare foto di nudo, sia per lavoro che per hobby, significa anche condividerle sui social network. Un po’ per cercare pareri anche di persone che di fotografia se ne intendono, un po’ semplicemente per farsi pubblicità. E anche qui, con la sola eccezione di Twitter, ci si trova davanti a una mentalità bacchettona e retrograda che in alcuni casi sfocia nel sessismo.
Come probabilmente il lettore saprà, da alcuni anni il social della fotografia per antonomasia è Instagram. Ebbene, ogni volta che voglio pubblicare una foto in cui si vedono dei capezzoli femminili o dei genitali, mi trovo costretto ad aggiungere delle orribili righe nere per censurare queste parti del corpo che il social network forse giudica scabrose. Il mio disagio nell’autocensurarmi non è solo di natura estetica ma anche artistica. Se ritraggo una persona nuda significa che credo che quella nudità abbia un significato. Significato che quasi sempre viene perso per colpa della censura.
Il sessismo in questo caso riguarda i capezzoli. Sono loro a dover essere censurati nel caso di un soggetto femminile, non le tette in toto. E allora ci si chiede: perché i capezzoli maschili riescono a non essere vittima della censura da social? Sarà che Instagram e Facebook (prendiamo i due più usati) rispondono alla morale comune che vede i capezzoli femminili come oggetto di desiderio, come parte del corpo sessualizzata, mentre gli omologhi maschili possono godere di maggiore libertà? Negli anni si è sviluppato online un movimento dal nome «Free the nipple», che purtroppo non ha portato a nessun effettivo cambiamento. Ho provato a pubblicare su Instagram una foto di una modella a seno scoperto senza censurarla. Risultato: è stata oscurata dopo qualche minuto e a me è arrivato un severo ammonimento a non provarci più.
Questo è il sistema dei social con cui noi fotografi dobbiamo confrontarci ogni giorno. A titolo di esempio, alla fine di questo capitolo potete trovare due versioni della stessa foto: l’originale e quella che ho pubblicato su Instagram il 6 gennaio 2020. Come potrete vedere, nella versione censurata l’attenzione dello spettatore si concentra inevitabilmente su quell’orribile riga nera e non su Lucky Strike che, nuda, si guarda allo specchio. E ho dovuto fare tutto questo per coprire un capezzolo, mentre il sedere non deve essere censurato. Perché? Mistero.
Stiamo parlando di un problema grosso, sebbene relegato a quella minuscola nicchia dei fotografi di nudo. Ogni social network ha il sacrosanto diritto, in quanto società privata che fornisce un servizio, di mettere le regole che ritiene più opportune, ma ciò non toglie che è difficile sia convivere con queste stringenti norme, sia decidere di spostarsi su un social network meno bacchettone. E questo per una semplice questione numerica: Instagram è il più frequentato social riservato alla fotografia. Tutti gli altri, per esempio Twitter, riservano alla fotografia un ruolo davvero troppo marginale, oppure sono social di nicchia, in cui ci si trova tra fotografi e ci si scambia noiosissimi pareri sull’attrezzatura utilizzata. Non so gli altri, ma io scatto foto non per mostrare al mondo quanto bravo sono a usare una macchina fotografica, bensì per comunicare qualcosa al mondo. E se, per forza di cose, devo mostrare il mio lavoro solo a chi condivide la mia stessa passione, mi privo di una grossa fetta di pubblico che magari potrebbe apprezzare il mio lavoro.
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