I numeri dell’emergenza in Sud Sudan
«Il terribile fatto che in Sud Sudan quasi un bambino su cinque è stato costretto a fuggire dalla propria casa, mostra quanto questo conflitto sia devastante, in particolare per le persone più vulnerabili del paese», queste le parole di Leila Pakkala, direttore regionale di Unicef per l’Africa orientale e meridionale.
Più di un milione il numero dei bambini che, secondo Unicef, scappa dal Sud Sudan. Il paese in cui dal 2013 si combatte una guerra civile per la quale si stimano 50mila morti; in cui più di 5,1 milioni di abitanti non hanno accesso all’acqua potabile e metà dei punti idrici della regione sono fuori uso; in cui il colera da giugno 2016 ha già fatto strage.
Una cronaca che si racconta da anni, senza che faccia mai breccia con il giusto peso nei canali dell’informazione.
Una cronaca piena di eventi sconvolgenti che si ripetono continuamente: come il 21 febbraio 2015 quando 89 bambini di 12 anni sono stati rapiti da uomini armati, mentre sostenevano un esame nel campo profughi di Malaki. L’anno successivo altri 650 sono stati aggiunti alle trincee della guerra civile. Siamo nel Sud Sudan. Il paese più giovane del mondo, dove sono «reclutati» 16mila bambini soldato, su 250mila in tutti i conflitti aperti; mentre altri 100mila provengono dal confinante Sudan in cui sono fuggiti la maggior parte del milione di bambini profughi di cui oggi si parla.
13mila: la cifra di bambini scomparsi. Una situazione tragica che urla la necessità di risposte immediate, davanti alla quale l’Occidente vacilla e non sembra in grado di farsi avanti. Lo dimostrano gli oltre 95 profughi che nelle ultime due settimane sono morti nel Mediterraneo, nella tratta dalla Libia all’Italia, che si sommano agli oltre 1300 finora stimati.
Gli appelli di Unicef, che chiede 181 milioni di dollari per arginare le situazioni di emergenza dei rifugiati del Sud Sudan fino alla fine dell’anno e di Unhcr, che chiede 781 milioni di dollari per gli interventi umanitari nella regione, sono stati solo minimamente finanziati e la situazione non sembra migliorare.
Nell’anno in cui in Europa crescono del 2,6% le spese per gli armamenti, già esorbitanti, non si riesce a finanziare chi delle armi cerca di lenire i danni.
Se l’Europa, nata con l’obiettivo di potenziare la pace del mondo, al punto di recitarlo nel suo inno, ha definitivamente dimenticato se stessa prosperando in questa contraddizione, è arrivato il momento che di se si ricordi o si mostri per ciò che realmente è diventata.
Studente di Ingegneria Informatica presso l’Università di Pisa