Nuova Via della Seta: perché all’Italia conviene l’intesa
Tic toc. Il Consiglio Europeo del prossimo 21 marzo s’impegna a discutere la revisione delle regolazioni dell’Ue con il gigante asiatico, mentre proprio il massimo leader della corazzata cinese, Xi Jimping, è atteso in Italia dal 21 al 24 marzo, con l’obiettivo di radunare intorno a sé ben 70 capi di industria. Il 22 marzo, giungerà, infatti, il giorno della Scelta Suprema: il nostro Paese, apponendo la propria firma, potrebbe divenire il primo fra le potenze del G7 a sottoscrivere con la Repubblica Popolare Cinese il memorandum d’intesa tanto agognato, tanto temuto. Fuori dallo zibaldone di avvertimenti dal sapore della minaccia, di promesse allegramente sbandierate, in che cosa consiste il memorandum di intesa che il Governo italiano si appresta a firmare, quali sono i vantaggi che concretamente potrebbe apportare all’economia nazionale, quali i fattori geopolitici che spingono gli interessi italiani a puntare ad una più stretta collaborazione?
Rinominata Via della Seta, come il sentiero lungo 8000 chilomentri che condusse il mercante veneziano Marco Polo nelle terre del Kubilai Khan, Belt and Road, l’imponente iniziativa strategica avviata dalla Repubblica Popolare Cinese nel 2013, contante oggi 152 Paesi aderenti, fra cui 13 paesi membri dell’Unione Europea ambisce, adottando i modi del soft power, alla messa in campo di investimenti infrastrutturali da mille miliardi di dollari, per consentire ai prodotti cinesi di rinvenire sbocchi commerciali in Eurasia. L’appetibilità del progetto, al centro delle relazioni diplomatiche fra Italia e Cina da molti mesi, già nel marzo del 2017 aveva indotto Paolo Gentiloni a considerare il faticoso negoziato un evento dal grande significato economico e politico, capace di trascinare il Paese e l’Unione Europea verso la giusta direzione, sicché assurdamente contrarie alle decisioni assunte in passato appaiono oggi le posizioni manifestate dalle forze di opposizione, che, se impegnate in un ruolo governativo, avevano più volte manifestato pieno sostegno all’intesa.
Una prima analisi, mirante ai numeri che, nella quantità di beni esportati in Cina, separano l’Italia dalle big europee e anche da forze minori come Belgio e Svizzera, lungi dal non allacciare intensi rapporti commerciali con il maggior nemico di Washington, segnala, infatti, come, rispetto ai 90 miliardi di euro esportati dalla Germania e dai 20 miliardi di euro esportati dalla Francia, lo Stivale, fermo a soli 10 miliardi di euro nel 2018, presenti un ritardo che Belt and Road si incarica di colmare. In che modo? Con il raddoppio del canale di Suez, con la conquista del porto del Pireo, agli occhi della Cina il Mediterraneo ha acquistato una nuova centralità che l’Italia, stato privilegiato per la sua posizione strategica e la forza delle sue reti ferroviarie e portuali, può direttamente sfruttare, vestendo, nei rapporti commerciali della Cina con il blocco europeo, il ruolo di testa di ponte fra il confine europeo orientale e le maggiori realtà occidentali, quali Francia e Germania, dove spicca Duisburg, città portuale della Ruhr sotto una stretta influenza cinese e sottoscrivente nel 2017 con Trieste un accordo di partnership strategica. A ciò si aggiunge che, definitivamente appurata la stabilità dei flussi che si dirigono nell’area denominata MENA (Middle East and North Africa ), includente 22 paesi, l’Italia potrebbe accedere alla sua diretta gestione commerciale, puntando alla stabilità e al controllo dell’Africa settentrionale e del Mediterraneo.
Proprio in acquee mediterranee, si affacciano, tra l’altro, i nostri principali porti, dotati, rispetto al Pireo sotto dominio cinese, di procedure di sdoganamento tra le più veloci in Europa, che rendono il sistema dell’Alto Adriatico e dell’Alto Tirreno, avvantaggiati da ottime interconnessioni ferroviarie, immediatamente efficaci per i movimenti delle merci cinesi. Le difficoltà ancora oggi presentate dall’area balcanica, impegnata nella realizzazione di una linea ferroviaria Belgrado-Budapest in fase di revisione per presunte irregolarità rispetto alle normative dell’Unione Europea, fanno, del resto, ghiotte le aziende italiane, interessate a investire in progetti infrastrutturali, come emerso dalla tavola rotonda, che, organizzata il 26 gennaio del 2018 dal MEF e da Confindustria, rivela il profondo interesse maturato dagli industriali italiani per un progressivo rinforzo dei legami fra Italia e Cina. Inoltre, come se il preminente ruolo italiano nel contatto con i territori centro-settentrionali del continente e l’area nord-africana non fosse già sufficiente a definire l’importanza della presenza italiana nel progetto, le imprese italiane, con la complicità dell’alleato cinese, si insinuano dal 2017 nel controllo delle regioni orientali, assurgendo non soltanto come dominatrici per il 100% di Trainose, il principale operatore ferroviario in Grecia, ma anche coinvolte in Iran nel progetto di costruzione della ferrovia tra Teheran e Isfahan.
Il futuro bussa alla porta e, scivolando nel regno della metafora, cede spazio al ricordo del lontano passato. La nuova rinascita cinese, prossima ad assumere ufficialmente valore globale, nega all’Italia la facoltà di sperare in un diverso corso per la politica internazionale del XXI secolo. Si assiste, dunque, con la partecipazione italiana a Belt and Road ad un necessario e ineluttabile evento della storia mondiale.
Classe 2000, figlia del XXI secolo e delle sue contraddizioni. Ho conseguito la maturità presso il Liceo Classico Eschilo di Gela e frequento la facoltà di Giurisprudenza presso l’Università di Trento