Tra Ocalan e Pkk: breve storia dei curdi in Turchia
Fino a poco tempo fa, probabilmente, pochi tra di noi avevano idea di chi fossero i curdi. Da qualche anno, al contrario, in concomitanza con la salita di Daesh (acronimo arabo che designa l’Isis), tutti ne abbiamo in qualche modo sentito parlare, e ciò per via del loro fondamentale contributo militare nella lotta contro lo Stato Islamico.
Il Kurdistan è una regione che tocca Turchia, Armenia, Iran, Iraq e Siria. I curdi non sono dunque un popolo omogeneo, parlano dialetti diversi e hanno vissuto vicende differenti (forse accomunate solo dalla repressione) nei vari Stati in cui risiedono. Il gruppo più numeroso è però quello dei curdi di Turchia: su 25-35 milioni, in Turchia se ne contano circa 15, corrispondente a circa il 20% della popolazione turca.
Il presidente Erdogan è noto per le sue spiccate antipatie verso questo gruppo etnico. Eppure non può neppure essere considerato il peggiore persecutore del popolo curdo. All’inizio del suo mandato, al contrario, Erdogan aveva aperto al recupero della lingua e dell’identità curda, che per decenni era stata ferocemente negata, anche dal campione della laicità Ataturk. Attorno al 1920 e al 1930, a seguito di alcune rivolte, i curdi erano stati costretti a spostamenti forzati ed erano stati ribattezzati “turchi delle montagne”: l’idea era che in Turchia, insomma, non dovesse esistere alcuna minoranza di questo popolo.
Tra vicende alterne si arriva al 1978, quando Abdullah Ocalan dichiara la fondazione del partito indipendentista di estrema sinistra (e ben presto armato) Pkk, il Partito dei Lavoratori del Kurdistan, considerato ancora oggi un’organizzazione terroristica da Stati Uniti e, ça va sans dire, Turchia. I consensi raccolti dal Pkk si fecero consistenti, e, dopo una rocambolesca vicenda che vide protagonista anche l’Italia, Ocalan venne consegnato alla Turchia, dove ancora oggi è incarcerato. Nel 2012 iniziano i negoziati di pace, nonostante alcuni scontri continuino. Dal 2015, in seguito all’attentato di Suruc, dove morirono 33 giovani attivisti curdi, il cessate il fuoco può considerarsi essenzialmente finito, e la lotta con le autorità turche si è rifatta piuttosto aspra.
In questo contesto si era collocato il tentativo di Erdogan di moderare la stretta contro i curdi. Lo scopo era quello di allontanarli dal Pkk e avvicinarli al suo partito, l’Akp. Tuttavia, probabilmente, le scelte dell’attuale presidente non sono state ritenute sufficienti, tanto che i consensi della maggioranza dei curdi in Turchia rimangono da un lato per il Pkk, dall’altro per il giovane Hdp, il Partito Democratico dei Popoli. Dopo il suo clamoroso successo alle ultime elezioni, Erdogan ha ritenuto necessario ripercorrere la via della repressione. Oltre agli arresti di massa e agli attacchi alle sedi del partito, Erdogan sta ora giocando un’ulteriore carta per rendere ancora più inoffensivo questo partito della sinistra progressista: una nuova mozione del governo vorrebbe togliere l’immunità ai parlamentari e dunque sospendere l’articolo 83 della Costituzione; i primi a subirne gli effetti sarebbero proprio i rappresentanti dell’Hdp: i procedimenti giudiziari contro di loro sono infatti 46, a fronte dei 59 attuali seggi in loro possesso. Si tratterebbe, chiaramente, della definitiva messa a tacere dell’opposizione curda.