Occidentalizzare la Russia: il crollo dell’URSS

Sin dal crollo dell’Unione sovietica, vi sono stati innumerevoli tentativi di occidentalizzare la Russia, ufficialmente per renderla più «democratica», ma era chiaro che l’obiettivo era quello di liberalizzare l’economia, togliere le protezioni sociali e dare libero sfogo al capitale internazionale nell’est Europa.

Questo processo comincia già negli anni ’70 con Nikita Krusciov che diede inizio alle prime liberalizzazioni in settori strategici, con attenzione anche ai premi di produzione ai dirigenti di fabbrica. La produzione aumentò, ma tutto a dispetto della qualità dei materiali. La produzione rimaneva nelle mani dello Stato, mentre la vendita e la produzione dei mezzi agricoli avveniva tramite delle nuove imprese che non erano sotto il controllo pubblico. Queste cooperative aumentavano i prezzi dei mezzi agricoli e si intascavano i profitti in nero, alle spalle dello Stato. Questo portò ad adottare una cattiva pratica, ossia la possibilità, per esempio, per i medici di usare le strumentalizzazioni degli ospedali, per fare delle visite private. Con Breznev questo processo di liberalizzazioni non si arrestò, anzi continuò irrimediabilmente.

Occidentalizzare la Russia
Krusciov sulla copertina del Time

Andropov, Gorbacev e l’ultima fase dell’URSS

Chi provò a ritornare ai principi di economia socialista fu Jurji Andropov, che divenne segretario generale del Partito Comunista tra 1982 e il 1984, ma nel frattempo l’economia sovietica era in crisi soprattutto nei settori dell’industria leggera, dove maggiormente avevano preso piega queste forme di privatizzazioni. Gorbacev, attraverso la perestrojka e la glasnost’, rende palese il malcontento popolare nei confronti dei leader che avevano avviato queste pratiche corrotte. Inoltre, fatto ancora peggiore, la propaganda americana già verso il finire degli anni ’70 era riuscita a infiltrarsi nel sistema politico sovietico. Esempio su tutti, Boris Eltsin su cui da ormai tanto tempo, si sono diffuse le prove del suo legame con la CIA e con gli Stati Uniti. Nel 1990 si tenne un referendum con il quale si chiedeva al popolo se volessero ancora l’Unione Sovietica e il 90% nonostante la propaganda americana e tutte le difficoltà che attraversava, in quel momento l’Unione Sovietica decise per il mantenimento dello status quo. Dato eloquente quello ucraino, dove il 70% si pose a favore della Casa Comune… l’Unione Sovietica.  Inutile far notare come tale volontà popolare non fu mai rispettata.

La fase post Sovietica

Dopo il crollo ai principi di economia liberale, la repentina occidentalizzazione della Russia si risolse in un impoverimento generale. Nell’estate del 1990 si fecero aperture all’economia di mercato che provocarono in breve periodo la diminuzione con un prodotto interno lordo del 17% e soprattutto l’erosione degli stipendi dei lavoratori con un’iperinflazione del 14%. Cominciò così un periodo di grande stagnazione economica da cui la Russia si risollevò soltanto la l’elezione di Vladimir Putin che prese le distanze dalla gestione liberale del suo predecessore Boris Eltsin, facendo fallire così i sogni dell’Occidente di trasformare la Russia in un paese occidentale.

Occidentalizzare la Russia
Boris Eltsin con Bill Clinton. Foto emblematica del nuovo corso Russo

Nell’articolo successivo tratteremo di come la Russia di Putin sia diventata una minaccia per le mire espansionistiche a est dell’Occidente, una vera spina nel fianco soprattutto nei confronti della Nato e degli Stati Uniti. E di come la situazione attuale, sia stata prevedibile almeno dal 2014.