Orlando: un uomo non è solo la propria religione
Boyhood è un bell’esperimento cinematografico uscito nel 2014: la storia dura dodici anni, ma non è stato realizzato invecchiando gli attori in una sala trucco, bensì è stato girato in dodici anni, filmando un po‘ alla volta. Nonostante questa trovata che lo rende superiore alla media di netto, rimane un prodotto tipico americano, anzi è descritto come normalità dell’America di oggi.
Che è americano lo si capisce dal «trauma del cambio casa» improvviso, che colpisce il protagonista da bambino (tema che fa molto Stati Uniti, vedasi Inside Out), ma la sua americanità è data anche dalla scena del fucile. Al protagonista, durante il suo quindicesimo compleanno, viene regalato un fucile (tra l’altro il padre è sostenitore di Obama e fiero oppositore dell’intervento in Iraq). Dal momento che il film ritrae solo i momenti di formazione normale del protagonista, un ragazzo normale, viene da pensare che sia considerato normale formazione il regalo del fucile, come se la società in generale e l’America in particolare venerasse le armi. E per molti è così, purtroppo. Riflettevo su questo, prima di addormentarmi, poi mi sono svegliata con la notizia della strage di Orlando. E qualche candidato alla Casa Bianca, Super Parrucchino, che propone di buttare fuori tutti i musulmani, invece di buttar via le armi. Adesso vi aspettate il solito discorso «buonista comunista» del tipo che il vero musulmano è uomo di pace, ma è un discorso totalmente inutile e, sebbene fatto con parole di verità e buone intenzioni, è persino pericoloso. Mi spiego meglio con un concetto caro all’economista filosofo Armatya Sen. I terroristi di matrice islamica o religiosa in genere fanno leva sull’identità religiosa dei potenziali adepti, solo su quella, cancellando totalmente le altre identità. Un combattente Isis è solo un musulmano, dimentica completamente di essere americano, britannico, indiano o anche amante del calcio e della buona cucina, sa solo di appartenere al fondamentalismo religioso; parimenti quelli che vogliono combattere il fenomeno dicendo «Ma quella in realtà è una religione di pace» non si rendono conto di puntare anche loro unicamente sull’identità religiosa, riducendo l’uomo. È giunto il momento di cambiare schemi, cercando di non ridurre un’esistenza umana unicamente alla religione professata.
Impegnata tra libri e scacchi, in movimento tra Padova e Torino, sempre con una forte dose di sarcasmo.