Padova celebra il Donatello «svelato»
Donato di Niccolò di Betto Bardi, detto Donatello, figura fra gli artisti che rivoluzionarono la concezione dell’arte nel Rinascimento, distaccandosi così radicalmente dagli anni antecedenti, tanto che le sue scoperte e modifiche sono perpetrate nel tempo sino ai giorni nostri. In particolare, straordinario rilievo assume il decennio padovano (1443-1454) nel corso del quale, sulle orme del predecessore Giotto, il Nostro si trasferisce nella città veneta, allora centro economico e culturale della penisola, gettando le basi della diffusione del Rinascimento anche nell’Italia settentrionale. Infatti, come si evince dalla ben allestita mostra ai musei Eremitani a Padova, il periodo padovano, forse il più maturo e prolifico della produzione donatelliana, si contraddistingue per la realizzazione del celebre monumento del Gattamelàta e del grandioso Altare del Santo, dove si nota il sapiente utilizzo delle tecniche della fusione del bronzo, dello «stiacciato» (tecnica scultorea che permette di realizzare un rilievo di variazioni infime rispetto al fondo), nonché l’umanità e l’introspezione dei soggetti delle sue opere. Infatti, come afferma anche il Vasari nei suoi scritti, a differenza di altri artisti come per esempio Brunelleschi, Donatello è stato il primo in grado di ispirarsi alla tradizione scultorea greco-romana riuscendo poi persino a superarla. Egli infatti, come si desume soprattutto dalla mostra «Donatello svelato» del Museo Diocesano di Padova (aperta fino al 26 luglio), non ha reso le sue opere una mera imitazione della cultura tardo antica ma, sperimentando tutte le possibili tecniche e materiali, è stato capace di dare un espressività tale da rendere i soggetti rappresentati non delle figure idealizzate e perfette (caratteristica peculiare della cultura neoclassicista) ma dei volti e corpi reali sofferenti che sono intrisi di un’umanità che li rende identificabili con chiunque. In particolare ciò è evidente nell’osservazione dei crocefissi presenti nel Duomo di Padova, nei quali lo spettatore riesce ad identificarsi con la drammaticità del momento della morte del Cristo tramite l’intensa espressività scaturita dalle opere stesse. Ciò è possibile soprattutto grazie alla semplicità e la drammaticità dei volti raffigurati che ricordano non una figura elevata, bensì una qualsiasi persona presente nella società odierna. In ultimo luogo è proprio questa peculiarità che rende questa mostra apprezzabile e che dona espressività ed emotività ai visitatori.
Laureata all’Università di Padova Ingegneria Chimica e dei Materiali e laureata magistrale in Ingegneria Chimica (Susteinable Technologies and Biotechnologies for Energy and Materials) presso l’Almamater Studiorum Università di Bologna.
Scrivo per La Voce che Stecca dal 16 luglio 2015 e su queste pagine mi occupo di cultura, musica e sport, ma soprattutto di scienza, la mia passione.
Bell’articolo di questa new entry! Continua così Luisa