Padova: anche l’ex rettore alla corte di Renzi
In quanto studente dell’Università di Padova, chi scrive è rimasto indubbiamente stupito nel vedere, fra i firmatari del manifesto per il «Sì» al referendum costituzionale di ottobre, anche Giuseppe Zaccaria, docente di Teoria generale del diritto e titolare di diverse cariche all’interno dell’ateneo, nonché rettore dal 2009 al 2015.
Non abbiamo né le conoscenze né l’intenzione di discutere con lui del merito di questa riforma, da noi considerata deleteria per l’amministrazione del potere legislativo e di quello esecutivo nel nostro paese, ma da Zaccaria evidentemente vista con entusiasmo. È giusto che a ottobre si fronteggino due schieramenti composti da cittadini informati e per questo convinti della propria scelta, e non saremo certo noi a rimproverare qualcuno solo perché le sue idee non coincidono con le nostre.
Il nostro stupore deriva invece dal fatto che l’ex rettore, persona seria e preparata, si sia prestato a una campagna ridicola come quella attuata dal governo: «Basta un sì», ma bastano anche quattro pagine sull’Unità in cui vengono utilizzati personaggi come Pietro Ingrao ed Enrico Berlinguer — con citazioni del tutto decontestualizzate — come testimonial, ma bastano anche le distinzioni fra partigiani veri e partigiani falsi, e basta anche l’accostamento con Casa Pound azzardato dal ministro Boschi riferendosi ai sostenitori del «No».
Ci stupisce che Giuseppe Zaccaria abbia firmato il manifesto per il «Sì» a un referendum che è stato reso — da Matteo Renzi in persona e non dai gufi — plebiscitario, come se, nel caso in cui le riforme non andassero in porto, arrivasse l’apocalisse, mentre a meno di profezie maya in ritardo caduto un governo se ne fa un altro. È comprensibile, e lievemente apprezzabile, che Renzi, il cui esecutivo ha da sempre il ddl Boschi come scopo programmatico, intenda levare le tende in caso di sconfitta; ma questa è una scelta (di buon senso) sua, e non deve assolutamente condizionare gli elettori che invece sono chiamati a esprimere la propria opinione sulla riforma costituzionale e non sul premier.
Ci stupisce che Giuseppe Zaccaria, anziché esprimere la propria opinione dall’alto della sua preparazione e della sua esperienza, abbia deciso di aggregarsi a questo gruppo di giuristi che si riconosce dentro un movimento — «Basta un sì» — che è tutto fuorché portatore di una discussione approfondita e chiara a tutti sul tema. Sul sito web è presente il testo del manifesto (incomprensibile a chiunque non mastichi la materia) e poi la riforma «in pillole», quest’ultima contenente alcune imprecisioni che rischiano di mandare fuori strada il cittadino suo malgrado costretto a rinunciare alla lettura del testo integrale. Vi facciamo un piccolo esempio riportando la prima pillola: «Finalmente l’Italia cessa di essere un’eccezionale (sic) mondiale, l’unico paese in cui il parlamento sia composto da due camere eguali, che danno e tolgono la fiducia al governo, con gli stessi poteri e più o meno la stessa composizione». Ecco la prima imprecisione, riscontrabile leggendo gli articoli 56 e 57 della (vecchia) Costituzione: se «la Camera dei deputati è eletta a suffragio universale e diretto», «il Senato della Repubblica è eletto a base regionale, salvi i seggi assegnati alla circoscrizione Estero». È sin troppo semplicistico liquidare la questione affermando che le due camere hanno «più o meno la stessa composizione». Piccolezze, direte, e forse avete anche ragione, però danno l’impressione che lo scarto fra manifesto e pillole sia macroscopico e non quello necessariamente esistente ogniqualvolta si opera una sintesi. Ci sbaglieremo sicuramente, ma questa è l’idea che sorge nel lettore accorto e con qualche fondamento di diritto pubblico a disposizione.
Il «No» ha Zagrebelsky, il «Sì» ha Zaccaria, ce ne faremo una ragione: a ognuno i suoi.
Giornalista professionista e fotografo. Ho pubblicato vari libri tra storia, inchiesta giornalistica e fotografia