A Padova i Tintoretto «dubbi»: certifica Sgarbi
Una grande meraviglia in grado di abbagliare occhi, cuore e mente. Sarebbe così che forse si dovrebbe descrivere la mostra «I Tintoretto Ritrovati» a cura di Vittorio Sgarbi, visitabile fino al 25 settembre prossimo ai Musei Civici degli Eremitani a Padova.
Le otto tele, sinora esposte in municipio come opere di un imitatore, vengono ora attribuite a Tintoretto da Sgarbi. Si tratta di un evento organizzato nell’ambito de «Le mostre di Vittorio Sgarbi», ciclo di esposizioni che celebra la collaborazione fra il critico d’arte e il comune di Padova.
Jacopo Robusti, detto Tintoretto, soprannome che gli fu affibbiato per il lavoro del padre come si soleva fare a quel tempo, è stato uno dei più importanti pittori del Rinascimento italiano e visse dal 1518 al 1594.
Di origini veneziane, Jacopo Robusti inizia a lavorare nella bottega di Tiziano, uno dei pittori più illustri dell’epoca, mostrando già da subito le sue grandi abilità.
La bravura innata di Tintoretto è talmente dirompente che creerà non poche invidie tra i pittori del ‘500, primo tra tutti proprio il grande Tiziano, che redentosi conto di quale stella emergente fosse l’allievo e di come presto o tardi avrebbe surclassato gli altri artisti veneziani, lo escluse clamorosamente nel 1556 dalla competizione per la decorazione della biblioteca marciana.
Tintoretto è stato il più grande pittore del Manierismo, inteso come la maniera di tutti i grandi maestri, dando non solo prova di saper assimilare le tecniche di pittori come Michelangelo e Raffaello, ma anche di saperle rielaborare, mescolare e allo stesso tempo superare, creando un prodotto finito che può essere considerato un riassunto della grande pittura del ‘500.
Tuttavia Tintoretto non è stato solamente un magistrale allievo, ma anche uno stravagante innovatore, in quanto è stato in grado di «prevedere il futuro», riuscendo ad anticipare quelle tecniche che saranno poi i pilastri portanti della pittura barocca. Tra queste innovazioni alcune tra le più importanti sono l’introduzione della prospettiva tagliata e l’utilizzo di posture totalmente innovative.
Una delle novità più grandi di Jacopo Robusti è stata l’utilizzo della luce, che in alcuni tratti naturale e in altri innaturale, contribuiva a rappresentare i personaggi in un modo totalmente diverso da quello usuale, proiettando i protagonisti del dipinto in un mondo quasi fantastico. Infatti il pittore costruiva i suoi quadri con una luce intensa e indagatrice che apportava una profondità particolare ai personaggi, riuscendo anche a donare ai loro volti una psicologia.
Purtroppo il pittore veneziano non fu del tutto apprezzato durante il Rinascimento a causa della sua pittura che presentava poche e asciutte pennellate e dei corpi disegnati con tratti nervosi e una linea non continua. Questo modo di dipingere, dovuto anche all’impazienza di Tintoretto, fece nascere molte critiche da parte dei pittori dell’epoca che avevano come riferimento le linee precise e il colorismo veneto di Tiziano e del Veronese, oltre che l’immensa considerazione dei grandi come Michelangelo, Leonardo e Raffaello.
È stata questa differenza, tra le altre, a caratterizzare Tintoretto ed elevarlo non solo come manierista ma anche come un incredibile innovatore. Infatti il pittore ha precorso i tempi non solo per il suo modo di dipingere decisamente fuori dal comune, ma anche per il fatto che il manierista veneziano fece parte di quei pittori del secolo che cominciarono ad essere più intellettuali che artigiani.
La grandezza di Tintoretto, le sue innovazioni e la sua pittura sono tutte racchiuse ed espresse alla massima potenza nella nuova mostra a Padova al Museo degli Eremitani. Le otto tele esposte sono state attribuite, da parte di Sgarbi, a Tintoretto e e non ad un imitatore del pittore veneziano come era stato creduto fino ad oggi.
I dipinti rappresentano tutti avvenimenti mitologici come suggerito dai titoli: il giudizio di Paride, I cercopi mutati in scimmie, Briseide rimprovera Achille, Deucalione e Pirra, Apollo e Marsia, Venere e Adone, Giove e Semele, Compianto su Adone morto.
La meraviglia che incanta lo spettatore è unica e fa chiaramente capire sia l’innovazione sia la maestria che ha avuto il Nostro nel riassumere in poche tele tutta la grandezza della pittura del ‘500.
I sentimenti che scaturiscono sono molteplici. Se ci si avvicina, infatti, si può notare come i personaggi e i paesaggi nello sfondo siano definiti da quelle pennellate veloci e imprecise per cui fu tanto criticato Tintoretto, mentre la luce che investe l’osservatore, delinea i volti e le vesti donandoci la sensazione di esserci persi in una meravigliosa favola smarriti nel tempo dei tempi.
Inoltre la prospettiva tagliata accentua queste percezioni dandoci l’impressione di esserci persi nel dipinto, immersi fra il tempo e lo spazio, in una dimensione completamente nuova. Sembra strano che si stia parlando di dipinti, eppure il modo con cui Tintoretto rendeva primo, secondo e terzo piano riesce a catturare lo spettatore, creando un gioco di zoom che proiettano l’osservatore nel quadro.
La mostra di Vittorio Sgarbi non finisce al museo degli Eremitani, ma continua al Palazzo della Ragione dove troviamo un capolavoro unico: il San Lorenzo di Donatello.
Seppur si cambia autore la sensazione di meraviglia resta immutata. Per la prima volta è stata esposta al pubblico una terracotta che raffigura San Lorenzo, uno dei sette diaconi di Roma che venne martirizzato nel 258 durante la persecuzione voluta dall’imperatore romano Valeriano nel 257.
La scultura, solo recentemente attribuita a Donatello, mostra la magnificenza di questo artista che era in grado di rappresentare le emozioni e le verità più crude nelle sue opere.
Donatello è stato un artista importante per Padova, dove vi ha passato circa dieci anni e dove ha formato molti allievi locali istituendo una scuola di scultura con il proposito di diffondere l’arte. Lo scultore ha il merito di essere riuscito a far fiorire Padova e la scultura italiana.
Il busto esposto possiede una eleganza e un’accuratezza tale nei particolari e nell’espressione da donare a chi lo osserva un grande stupore che rende perfettamente l’idea di come era grande in quell’epoca la scultura italiana.
Le sensazioni che questa mostra lascia sono uniche e presentano dei pezzi unici del Rinascimento italiano, riuscendo persino a far perdere la cognizione del tempo allo spettatore, che per un giorno può dimenticare le ansie e gli stress della vita quotidiana ed immergersi in una realtà estatica e quasi surreale.
Laureata all’Università di Padova Ingegneria Chimica e dei Materiali e laureata magistrale in Ingegneria Chimica (Susteinable Technologies and Biotechnologies for Energy and Materials) presso l’Almamater Studiorum Università di Bologna.
Scrivo per La Voce che Stecca dal 16 luglio 2015 e su queste pagine mi occupo di cultura, musica e sport, ma soprattutto di scienza, la mia passione.