Il patriottismo nell’Italia di Enrico Mattei
Il 26 ottobre del 1962, Enrico Mattei salutò sua moglie Greta, con una premonizione: «Può anche darsi che io non torni». Il Presidente dell’ENI era diretto in Sicilia, dove visitò lo stabilimento dell’ANIC, in fase di compimento. Con lo stesso velivolo, alle 16:57 del 27 ottobre 1962, prese il volo verso Milano, in compagnia del pilota Bertuzzi e del giornalista americano McHale. Quel velivolo non atterrò come tutte le altre volte, perché si schiantò a Bescapè, in fase di atterraggio verso Linate. Fu la morte di un patriota, che si mise in gioco per l’Italia nella lotta contro il nazifascismo, guidando le lotte partigiane cattoliche, ritagliandosi un ruolo fondamentale all’interno il processo di ricostruzione nell’Italia repubblicana.
Sì, Enrico Mattei era un vero amante della Patria, termine oggi dissacrato, che prese l’AGIP, un’azienda di Stato risalente all’epoca fascista, credendo possibile un’altra strada rispetto alla liquidazione, politicamente spinta su pressioni statunitensi per liberalizzare il settore delle concessioni di ricerca. Credette fermamente agli studi del sottosuolo dell’Ingegner Zanmatti e, grazie agli appoggi fondamentali di Gronchi, Vanoni e De Gasperi, evitò la privatizzazione in via di conclusione con l’Edison, ridando vita all’Azienda Generale Italiana Petroli.
Mattei spinse politicamente per la fondazione dell’ENI, processo guidato da Vanoni e concluso nel 1953, che centralizzava in un ente statale il controllo degli idrocarburi, col fine non di agire per il profitto, ma per l’interesse della cittadinanza. Questa divergenza d’interessi, lo portò a scontrarsi con i potentati privati del petrolio, senza esclusione di colpi. Ascoltate.
Un sentimento patriottico particolarmente evidente nell’ex Presidente dell’Ente Nazionale Idrocarburi, nella voglia di rendere indipendente il proprio popolo a livello energetico, e quindi economico e, di conseguenza, politico.
Mattei credeva fortemente nell’intervento pubblico all’interno del sistema economico, in maniera tale che lo Stato potesse correggere i processi del mercato, ristabilendo il giusto equilibrio. Era convinto che l’iniziativa pubblica non trovasse limiti nella presenza nel settore di aziende private, ma dovesse puntare a un’intervento laddove il privato si mostrasse inefficiente. E’ per questo che egli puntualizzava sempre la falsa esposizione dell’impresa pubblica come sperperatrice di ricchezze, e puntava il dito contro i sostenitori liberisti, che usavano quest’arma per:«proteggere zone ben recintate e riserve di caccia».
Oggi è tornato fortemente all’attenzione il concetto di sovranità, aspetto mai perso di vista da Mattei, che, da uomo di Stato, agiva per l’interesse nazionale e aveva ben in mente la giusta gerarchia che mantiene l’effettività di una democrazia sostanziale. Più volte, specialmente nei suoi interventi rivolti verso i paesi ex coloniali con cui siglava accordi rivoluzionari tramite l’ENI, ricordava che: «Non c’è indipendenza politica senza indipendenza economica» e per questo fine alto si muoveva politicamente. A questi paesi, suggeriva di liberarsi dai complessi d’inferiorità nazionale, fasulli, ma funzionali al loro dominio.
C’è un discorso più che mai attuale, in un’Italia oppressa dai vincoli di bilancio costruiti sulla presunta incapacità di autodisciplinarsi economicamente: Un complesso d’inferiorità nazionale.
Si ha sempre da imparare e, molte volte, basta semplicemente tornare indietro nel tempo per acquisire le basi morali di ciò che portò l’Italia a una scalata che ebbe del memorabile.
Simone, ventottenne sardo, ha vagato in giovanissima età per il Piemonte, per poi far ritorno nell’isola che lo richiamava. Ama scrivere su tematiche politiche ed economiche. Legge per limitare la sua ignoranza.