Pd: per la «ditta» si ammazza la Costituzione

Per amore della «ditta» si farebbe qualunque cosa, ce l’ha fatto capire anche Pier Luigi Bersani quando lo abbiamo intervistato pochi mesi fa: «Il Pd è casa mia e ci vogliono i carabinieri per mandarmi via». Ma, alla domanda «Renzi rappresenta veramente la sinistra del 2000?», aveva risposto sarcastico «Se abbiamo un concetto un po’ largo di sinistra». Date queste premesse, fa una certa impressione vedere il nome di Bersani fra i 357 deputati che martedì hanno detto sì alla seconda lettura della riforma del Senato firmata Renzi. Insieme a lui ci sono anche Rosy Bindi e Gianni Cuperlo, due di quelli che si spacciavano per «minoranza avversa a Renzi».
Entreranno nella storia le parole sussurrate dalla Bindi appena uscita dall’aula: «Soffro troppo. Vediamo se strada facendo Renzi dimostrerà disponibilità ad ascolto e cambiamento». Oltre al danno, ai cittadini arriva anche la beffa: non va più di moda opporsi per portare al cambiamento. Ora si china la testa e si spera. Paolo Beni, altro firmatario ed ex leader dell’Arci, è sicuro di quello che sta facendo: «Non stiamo distruggendo nulla», spiega a Alessandro Ferrucci del
Fatto Quotidiano, «La riforma è utile e necessaria, ma non rinunceremo ad apportare modifiche migliorative: ci sono un paio di incongruenze che vanno corrette». Cambiano le parole ma il risultato è lo stesso: in quella che sembra sempre di più una commedia dell’assurdo, Beni ha votato un provvedimento di portata colossale consapevole della presenza di «un paio di incongruenze» da correggere. Forse non gli è chiaro come funziona: si discute, si vota e poi basta. Una volta premuto il fatidico tastino, non c’è più diritto di parola: hai votato di sì e quindi accetti il provvedimento per quello che è.

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Ma questo dev’essere un
modus operandi tipico del Pd: la tua opinione vale però sempre infinitamente meno di quella della «ditta»: per fare un esempio molto vicino a chi scrive, conosciamo personalmente degli iscritti del Partito Democratico che, nonostante ritengano Renzi un’aberrazione della sinistra, alle regionali voteranno Alessandra Moretti, renziana doc (dopo essere stata bersaniana e lettiana altrettanto doc).
Per tornare alla schiforma del Senato, a nulla sono valse le firme raccolte proprio dal
Fatto l’estate scorsa (più di 250mila) fra cui spiccavano i nomi di Francesco Rosi, Dario Fo, Daniele Luttazzi, Maurizio Maggiani e Benedetta Tobagi, tanto per fare qualche esempio. E a nulla è valsa la nostra campagna – di ben più piccola portata – di sostegno a questa iniziativa. Nonostante qualcuno ci abbia identificato con Il Fatto Quotidiano e ci abbia affibbiato l’epiteto di «filogrillini», abbiamo preso questa decisione animati unicamente dalla nostra coscienza civica. Ormai siamo in pochi ad averla.

Tito Borsa