Gli Hadzabe, popolo incontaminato nel mondo globalizzato
Esiste nell’era del mondo interamente globalizzato, dell’uomo frastornato dall’acidità della vita metropolitana, un eremitico cantuccio verdeggiante, dove la meraviglia della natura può facilmente tramutarsi in poesia?
Virgilio, Orazio, Tibullo e, con loro, la scorta di poeti bucolici che cantò le terre agresti ai tempi di Augusto Imperatore, hanno da lungo tempo calcato l’ultima impronta, ma, se solo potessero tornare in vita, impallidirebbero vistosamente dinanzi alla placida e pacifica superficie, che ospita l’ultima civiltà umana lontana dall’urbanizzazione.
Conducono la propria esistenza facendo dell’autosufficienza un principio inoppugnabile: raccolgono, cacciano, coltivano e conservano al loro fianco solo ciò di cui la terra è pullulante.
Loro sono gli Hadzabe, una guardinga tribù di cacciatori-raccoglitori, che, capace di ricercare le fonti del proprio sostentamento nelle più impervie e remote regioni della Savana, vive tuttora all’ombra del Cratere di Ngorongoro, ai limiti delle pianure del Serengeti e, dunque, nei pressi della Golà di Olduvai, dove soltanto nel 1959 furono rinvenuti i resti di uno dei primi ominidi della specie Homo Habilis, risalenti a ben 1,9 milioni di anni fa.
Ignari di qualsiasi significato possa attribuirsi al potere, non riconoscono al loro interno la presenza di un leader, ma vivono in gruppi composti da più di 20/30 individui, venendo così presentati fin dalla nascita a una società non complessa, probabilmente cristallizzata nelle proprie strutture da oltre 10 mila anni.
Per poter dimorare fra gli Hadzabe non sono previsti obblighi sociali, ma il solo e spericolato desiderio di praticare una vita nomade smodatamente aperta ai pericoli, nel corso della quale solo un quinto dei bambini non supera il primo anno, la metà dei membri oltrepassa i 15 anni e la scolarizzazione appare uno spettro sconosciuto.
Il loro gruppo etnico, uno dei più antichi del pianeta, fa uso di un idioma isolato, che incomparabilmente dissimile e lontano da qualsiasi lingua parlata nel mondo, è definito «a schiocco», poiché, essendo espresso mediante schiocchi di lingua, click e fischi, può ancor oggi riprodurre il linguaggio dei nostri preistorici antenati.
Così, inconsapevoli della portata di qualsiasi progresso economico e tecnologico, non credono nella presenza di una dimensione ultraterrena, ma ammirano compiaciuti una misteriosa presenza nel sole; non celebrano riti religiosi, né si dedicano a solennizzare funerali, matrimoni o compleanni, ma, nelle notti senza luna, mentre gli uomini sono impegnati nella danza che è chiamata a ridestare gli spiriti dei defunti,le donne adorano innalzare un canto. A loro è interamente sconosciuto il concetto di «zharo», lo scambio di doni che si opera comunemente in seno ai membri delle società, così come è aborrito il concetto di accumulo.
Per evitare che un individuo possa usufruire di uno smodato numero di beni, è praticato il gioco d’azzardo, il miglior strumento riconosciuto per riequilibrare le concentrazioni di ricchezza.
Se un loro simile, per mezzo della caccia e del raccolto, è premiato con il possesso un solo bene in più, ciascuno degli Hadzabe, definendosi appartenente alla minuscola comunità costituita, segue il passo del fortunato compagno, affinché questo possa venir sconfitto nel gioco e nei sollazzi.
Ad oggi si conta tra loro una popolazione di circa 1300 individui, ma solo un esiguo gruppo di 300/400 unità persiste nel rifiutare qualsiasi evoluzione nella mite vita quotidiana finora praticata. A partire dagli anni ‘50 del secolo scorso, gli interessi del governo tanzaniano hanno, infatti, impresso una visibile crescita del processo di sedentarizzazione, sicché la tribù ha perduto circa il 90% delle proprie terre e ha dovuto lottare negli ultimi anni contro la soppressione dell’ormai limitata terra rimasta.
La più recente delle rimarcabili vittorie ottenute risale al 2007, quando, assistiti da una coalizione di ong locali e internazionali, tutti i diritti di caccia, precedentemente accordati dal governo tanzaniano ad una straniera compagnia di safari, che intendeva privare di una cospicua quantità di terra l’indomabile tribù, furono completamente annullati.
Così, i timori e la strutturale debolezza politica della comunità hanno conquistato sempre più visibilità presso l’opinione pubblica nazionale, finché nell’ottobre del 2011 il governo tanzaniano ha ritenuto doveroso riconoscere a una comunità che ha fieramente sorpassato millenni di storia il diritto alla terra.
Inesorabilmente allineati verso un futuro in cui ridotte saranno le proprie risorse, i propri simili e le proprie peculiarità etniche, lasciano in eredità al mondo una vigorosa pagina di resistenza.
Classe 2000, figlia del XXI secolo e delle sue contraddizioni. Ho conseguito la maturità presso il Liceo Classico Eschilo di Gela e frequento la facoltà di Giurisprudenza presso l’Università di Trento