Pizzolungo, 37 anni dopo: intervista a Carlo Palermo

Il 2 aprile 1985 a Pizzolungo, in provincia di Trapani, un’autobomba uccide Barbara Rizzo e i due figli di 6 anni Salvatore e Giuseppe Asta. L’obiettivo di quell’attentato di Cosa Nostra era il giudice Carlo Palermo, a Trapani da neanche due mesi, che rimane illeso, mentre gli uomini della sua scorta vengono feriti, anche gravemente. A distanza di 37 anni da quella strage, abbiamo parlato con Carlo Palermo.

Iniziamo dall’inchiesta che stava conducendo a Trento, che poi le è stata tolta.

Fin dall’inizio dell’inchiesta, tra la fine del 1979 e l’inizio degli anni Ottanta, fu chiaro che presentava aspetti di carattere internazionale. Nel 1980 vennero trovati i più grandi quantitativi di eroina pura e morfina mai sequestrati dalla magistratura. L’anno dopo, scoprimmo il collegamento tra gli stessi soggetti che si gestivano il traffico di droga, che vedeva il Trentino come una fase di deposito degli stupefacenti, e un traffico di armi internazionale. Dapprima, si limitava ad armi leggere, come pistole e fucili, poi dal 1982 comparvero mezzi più pesanti: carri armati, elicotteri, missili, navi… 

Le prove di questo traffico erano contenute in una serie di documenti. Come arrivarono a lei? 

Ricevetti delle indicazioni da parte degli organi di Polizia Giudiziaria che, incrociate con le dichiarazioni di vari indiziati, mi portarono a sequestrare svariate migliaia di documenti. Dall’incrocio delle carte con le intercettazioni telefoniche emerse l’esistenza di traffici internazionali di armi. Il collegamento tra il traffico di droga e il traffico di armi era oggettivo, non una mera ipotesi. I documenti e le dichiarazioni ne provavano l’esistenza e in particolare indicavano Sofia come centro operativo dei traffici. 

In che modo riuscì a collegare i traffici internazionali di armi alle alte sfere della politica? 

Attraverso le industrie belliche che erano coinvolte. Nell’inchiesta di Trento ero risalito alle responsabilità di personaggi politici nazionali e internazionali. Per quanto riguarda i personaggi internazionali mi ero imbattuto in oggetti di potenziali indagini perché è chiaro che l’operatività della magistratura italiana non si può estendere ai presidenti di altri Paesi. Quando mi scontrai con l’allora Presidente del Consiglio Bettino Craxi, incontrai ostacoli che comportarono difficoltà sempre maggiori nella prosecuzione dell’istruttoria, finché non mi fu tolta completamente nel novembre del 1984. 

Lei aveva incontrato il procuratore Giangiacomo Ciaccio Montalto, di cosa avevate parlato? 

Avevamo parlato di alcuni elementi in comune tra le nostre due inchieste. A un personaggio sul quale stavo indagando, Karl Kofler, venne trovata una cartolina scritta dal trapanese Leonardo Crimi, sul quale indagava Ciaccio Montalto. Questa fu una delle tracce che collegava le nostre due inchieste. 

Cosa ricorda dei suoi primi giorni nella provincia siciliana? Qual era il clima che si respirava? 

Una grande diffidenza perché non ero nativo di quei luoghi ma anche manifestazioni di affetto da parte dei siciliani che avevano compreso lo scopo della mia presenza. 

Com’è cambiata la sua vita dopo l’attentato di Pizzolungo? 

Ho smesso di fare il giudice quindi è cambiata radicalmente. Allora avevo 37 anni, ora ne ho il doppio, ho vissuto una seconda vita e ho continuato a cercare la verità nei diversi ruoli che ho rivestito. Soltanto negli ultimi anni sono riuscito a comprendere e a individuare le ragioni e le modalità attraverso cui si maturò la conflittualità tra me e quell’organizzazione nella quale mi ero imbattuto prima a Trento e poi a Trapani per poi sfociare nell’attentato. Trattandosi di questioni complesse non possono essere riassunti in poche parole.

Cosa ha significato per lei nel 2006 l’incontro con Margherita Asta, figlia e sorella delle vittime di Pizzolungo? 

L’avevo incontrata già quando tornai a Trapani tra il 1992 e il 1993, ma solo negli ultimi anni mi sono avvicinato a lei. Per molto tempo mi sono sentito in debito con la famiglia Asta e con la realtà di Trapani. Ho avuto una grossa difficoltà a rapportarmi direttamente in particolare con Margherita Asta che è sopravvissuta e ha portato avanti delle battaglie da quando è diventata più grande. Aver trovato in questi ultimi anni riscontri sempre maggiori che mi hanno dato una spiegazione di quanto accaduto a Pizzolungo, mi è stato di stimolo per conoscerla e apprezzarla.