Non ci può essere equità nella poligamia
LA RISPOSTA all’articolo di Tito Borsa di ieri
Si fa tanto parlare, in questi giorni, di poligamia, in seguito alla dichiarazione dello scrittore Hamza Roberto Piccardo secondo cui questa pratica sarebbe «un diritto civile», dal momento che anche le unioni omosessuali vengono riconosciute come tali. Devo ammettere che in un primo momento la prospettiva di riconoscere famiglie «allargate» di più partner mi è parsa aberrante, ma poi ho riflettuto sul fatto che, in fondo, se io non accetterei nessuna intrusione nella mia relazione di coppia, non è detto che per tutti debba essere così.
La mia conclusione è stata, perciò, che ognuno dovrebbe avere il diritto di portare avanti relazioni con quanti partner gli pare, senza essere per questo condannato né dalla legge né dalla morale, a condizione che tutte le persone coinvolte siano d’accordo. Ma da qui a legalizzare la poligamia ce ne passa.
Innanzitutto, introdurre la poligamia così come la intende Piccardo – ovvero esclusivamente come il matrimonio tra un solo uomo e più donne, e non viceversa – rappresenterebbe a tutti gli effetti uno spaventoso passo indietro per la civiltà occidentale che da decenni lotta per la parità di genere. Per quanto le donne possano essere consenzienti, o persino entusiaste, nello spartirsi un uomo, non può esistere che un uomo possa sposare più donne, mentre una donna può sposare un solo uomo.
Ma ammettiamo pure che venga riconosciuto il «poliamore»: tutti, uomini o donne, possono avere quanti partner desiderano. Cosa otterremo? Soltanto una gran confusione. Quante persone potranno far parte di un’unica famiglia? Come fissare il limite? E i figli di chi saranno? Chi avrà il diritto di prendere decisioni importanti per un membro della famiglia?
In fondo, le «relazioni» tra più di due individui ci sono e ci sono sempre state, ma prima che di essere riconosciute legalmente hanno bisogno di essere accettate dal senso comune, di poter uscire alla luce del sole senza timore di essere condannate. Poi si potrà concedere loro qualche diritto in più, in modo da tutelarne tutti i membri; ma considerarle allo stesso livello delle relazioni di coppia è infattibile e pericoloso.
Ogni volta che venite venite fuori con sta storia dell’iniquità perché in determinati paesi (a differenza di altri, e qui casca l’asino) una donna non può sposare due o tre uomini e invece l’uomo può sposare diverse donne (generalmente col consenso delle stesse, bisogna pur dirlo), ripenso alla risposta di un mio amico senegalese e musulmano con cui in questo caso mi trovo perfettamente d’accordo: “Il fatto è che al mio paese non abbiamo mai ricevuto richieste da parte del genere femminile di legalizzare il matrimonio di una donna con diversi uomini, se ciò fosse avvenuto e ci fossimo opposti si potrebbe parlare di contrarietà, ma non è successo”. Esattamente come in altri luoghi l’uomo non si è ribellato in massa alle leggi matriarcali. Ragion per cui, e fermo restando che personalmente sono contraria ad ogni tipo di matrimonio legale esistente perché non mi va che lo Stato entri a mettere il naso nel mio letto (e che comunque devo accettare il fatto che invece la maggioranza vuole proprio questo, perché se non lo sapessi accettare impazzirei o vivrei incatenata davanti alla porta del Comune) la cosa più logica è che si prenda in considerazione anche la richiesta di un numero determinato di cittadini presenti come residenti nel territorio di cui stiamo parlando, invece di farci in quattro per giustificare la presunta superiorità delle richieste che partono da un certo numero di cittadini nati qui (alla fine la differenza è questa) seppure ai tradizionalisti nostri sembrino non meno strane… oppure dovremmo prendere seriamente in considerazione (in assoluto ritardo) lo sforzo di cercare le botteghe di commercio equo per fare la spesa, di modo che sempre meno gente debba emigrare. Con poche speranze di venire compresa ma con serenità vi saluto.