Per la politica italiana Nuovo significa sempre migliore
Processo al Nuovo
Marco Damilano
Laterza – 2017 – 14 euro
Per decenni l’Italia ha inseguito il mito del nuovo inizio: ricordiamo le promesse di grandi riforme, palingenesi giudiziarie, rivoluzioni liberali, rivolte in rete, rottamazioni e referendum epocali. Il Nuovo (o il tentativo di raggiungerlo), non possiamo negarlo, ha modellato tutte le identità politiche: sinistra, destra e centro. È comparso negli anni Ottanta, si è espresso in tutta la sua potenza all’alba degli anni Novanta, dopo lo scatto felino della storia provocato dalla caduta del muro di Berlino e dalla ottimistica speranza per un cambiamento. Il Nuovo è poi diventato senso comune con la Seconda repubblica: il restyling dei nomi e dei simboli, i modernizzatori contro i conservatori, gli innovatori contro i nostalgici. Il Nuovo era sempre (ed è ancora sempre) garanzia di migliore: nel suo nome si è presentato nel 1994 Silvio Berlusconi, ma anche – se pensiamo alla presunta discontinuità rispetto al governo precedente – l’esecutivo «tecnico» guidato da Mario Monti nel 2011. Sono poi nuovissimi i cittadini scelti dalla rete nel Movimento 5 Stelle. E ancor più nuovo è il renzismo della rottamazione dove tutto doveva apparire mai visto, mai udito, senza precedenti. Il Nuovo, spiega il vicedirettore de L’Espresso Marco Damilano, è stato la vita italiana al governo e alla politica. Ora sembra smarrito, per incapacità di elaborazione, fragilità culturale, inconsistenza progettuale. Ma nessuna restaurazione del passato è possibile, non si può tornare indietro. E l’Italia ha bisogno di una nuova politica per uscire da questo limbo di stagnazione, senza cambiamenti e senza partiti, senza destra e senza sinistra, senza vecchio e senza nuovo. Il Nuovo dev’essere quindi un nuovo del nuovo, qualcosa di diverso e di più efficace di quello a cui ci hanno da sempre abituato i politici. Sarà possibile questa ricostruzione, questa rigenerazione?
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