Solo i «poveri» possono criticare il governo
Il governo Conte si sta mettendo in moto? Forse sì, forse no. Sicuramente da più di un mese è particolarmente attiva la lingua del vicepremier, nonché ministro dell’Interno, Matteo Salvini, il quale ha – nell’ordine – rischiato un incidente diplomatico con la Tunisia (3 giugno), discusso con nientepopodimeno che Mario Balotelli e Fabrizio Corona, promesso i centri per i rimpatri «chiusi» ma già creati dal suo predecessore Marco Minniti (6 giugno), definito l’omicidio di Giulio Regeni secondario rispetto alle «buone relazioni» con l’Egitto (12 giugno), promesso di voler fermare la «lobby» degli avvocati d’ufficio dei migranti (13 giugno), definito la nave Aquarius una «crociera», affermato che una legge contro il caporalato «complica, non semplifica» e che quindi «va cambiata» (15 giugno), proposto un «censimento dei rom» anche se quelli italiani «ce li dobbiamo tenere» (18 giugno), promesso un condono chiamato «pace fiscale» (20 giugno) e ha pure minacciato – in modo mica tanto velato – Roberto Saviano sull’utilità della sua scorta.
Ebbene, che si sia d’accordo o meno con Salvini, non si può negare che almeno a parole ci sia tanto su cui discutere. Ed è anche lecito dissentire, soprattutto visto che l’opposizione ha il peso di un Gasparri a un convegno di didattica dell’italiano. Sono quindi benvenute le critiche, anche aspre: sono il sale della democrazia ed è sacrosanto esprimerle. Tutto bene? Pare di no, perché chi scrive nei giorni scorsi ha scoperto che per attaccare il governo bisogna essere poveri, o almeno non benestanti. E questo causa un problema davvero insormontabile: qual è il reddito massimo che dà il diritto di esprimere dissenso? E poi: valgono anche le proprietà immobiliari o è tutto basato su stipendio e conto in banca?
Sembrano follie, e agli occhi del sottoscritto lo sono, ma ormai sono vox populi e quindi, secondo l’antico adagio, vox dei. Ad attaccare il governo, secondo la vulgata, sarebbero solamente i «radical chic» con il «Rolex al polso» che, di conseguenza, rappresenterebbero l’establishment «sicuramente arrabbiato» per i provvedimenti presi dal governo Conte in tema di immigrazione, di lavoro e di diritti.
Ebbene, se questo è vero, io sono Goldrake. Oppure Matteo Renzi è uno statista di sinistra, scegliete voi.
Si seguita a dar voce all’immane sciocchezza del «comunista con il cuore a sinistra e il portafoglio a destra», che è parente stretto dell’«accogli i negri a casa tua». E a dirvelo non è un renziano convinto o un iscritto a Liberi e Uguali, ma uno di quelli che ha dato fiducia al governo Conte e che non lo critica in modo aprioristico e a critico.
Affermare che non si può attaccare l’esecutivo se si ha un certo reddito o se si proviene da una famiglia più o meno benestante, perché l’agiatezza sarebbe sinonimo di establishment e quindi renderebbe banale e scontata qualunque critica, sta sullo stesso piano della presunta assurdità nel difendere i diritti degli omosessuali se si è eterosessuali, o dei lavoratori sfruttati se si ha uno stipendio più che dignitoso.
Sono tutte cazzate. Al governo non ci sono guru infallibili e comunque si sta facendo politica, materia che comporta l’accordo e il disaccordo. Si può dissentire, anche in modo aspro, da qualunque scelta politica senza essere per questo delle cattive persone o degli ipocriti.
L’unica lancia da spezzare a favore di chi parla di Rolex e di radical chic è la seguente: quanti di quelli che oggi criticano Salvini si sono mai mossi per criticare anche solo una scelta di Monti, Letta, Renzi o Gentiloni? Se anche gli asceti del Salvimaio si ponessero questa domanda, capirebbero che tra i detrattori di Di Maio e di Salvini ci sono persone serie e buffoni. Come in tutte le cose.
Giornalista professionista e fotografo. Ho pubblicato vari libri tra storia, inchiesta giornalistica e fotografia