Qualche riflessione sul primo maggio
Una parte considerevole del primo maggio l’ho passata cercando di tirare giù la tazza della colazione dalla credenza troppo alta. Ho anche messo un cuscino sul lavello, così se la tazza fosse scivolata almeno non sarebbe finita in mille pezzi. L’ho tenuta in bilico sulla punta del bastone di mio nonno, nel frattempo le parlavo (sì, alla tazza, non rinchiudetemi), pregandola di non aver paura. E l’ho presa in mano. Non sono finita in tutti i giornali per questo, nessuno mi ha fatto i complimenti (non li volevo, mi bastava riuscire a bere). Ma se un pirla in sedia a rotelle va in giro a devastare cose allora d’improvviso è sulla bocca di tutti. È davvero così che deve fare un «disabile» perché la gente normale cambi modo di guardarlo? Ah povero ragazzo, ma aspetta è un teppista! Allora sì che guadagna posizioni nella scala sociale, da menomato fisicamente a menomato mentalmente. Sono perplessa, lo sono spesso ultimamente. Cioè, capitemi, ho la tessera di un partito che ha una minoranza e una minoranza dentro la minoranza e io non so di preciso di che minoranza sono. Non la userò per ottenere lo sconto per l’expo, perché l’iniziativa non mi sembra per niente giusta. Invece la modifica (momentanea?) all’inno, quel «siam pronti alla vita» mi piace davvero, lasciando stare che la metrica salta. Non ci vedo alcuna mancanza di rispetto, al contrario. La vita è una cosa forte, basti pensare a Milano che si risveglia e ripulisce la città. O al centenario e al neonato che sono stati estratti vivi dalle macerie in Nepal. Ho sempre sostenuto che vivere sia molto più eroico che morire. In particolare vivere con la paresi spastica è una sfida notevole e ti capitano le cose più assurde non appena metti ruota fuori di casa (ero con amici sabato e un tizio mi ha baciato i piedi, non sto scherzando, inquietante). E poi gente che parla alle tue spalle, una rottura. I miei amici che fanno formazione dicono che ho una «mission», che detto in inglese fa più figo. Credetemi che certi giorni penso <<il prossimo che mi dice che ho una mission si becca una pizza in faccia». Ma sì, dai ce l’ho, non sempre è chiara.
Tornando ai black block, non ho condiviso l’intervista dell’idiota dell’anno (un’intervista talmente intelligente che fa sfigurare la mia intervista con Bersani e Tortato), perché non mi va di contribuire alla popolarità di certa gente.
Impegnata tra libri e scacchi, in movimento tra Padova e Torino, sempre con una forte dose di sarcasmo.