Siria: le prigioni contro ogni diritto umano
Sembra una realtà così lontana dalla nostra, eppure è terribilmente attuale e coinvolge persone non tanto diverse da noi: studenti, blogger, professori, avvocati… Persone che hanno la sfortuna di vivere in un paese come la Siria, che si sono in qualche modo opposte al regime di Assad, o semplicemente hanno avuto l’aria di farlo.
Dall’inizio della guerra civile siriana nel 2011, diverse decine di migliaia di queste persone sono state rinchiuse in prigioni come quella di Saydnaya, in condizioni talmente disumane che da allora hanno provocato la morte di più di 17mila detenuti, come denunciato nei giorni scorsi in un rapporto di Amnesty International.
A Saydnaya i detenuti vivono in celle piccolissime, spesso sovraffollate, in alcuni casi si parla di ben 50 persone in appena nove metri quadri. «Quando mi hanno portato dentro, non ho visto delle persone. Ho visto dei vermi, che si contorcevano e si mescolavano. Non riuscivo a stare su entrambi i piedi: non c’era abbastanza spazio», ha raccontato uno degli ex detenuti che hanno aiutato Amnesty International a ricostruire una mappa della prigione e la vita al suo interno. Parlare di cattive condizioni igieniche è un eufemismo, non ci sono medici e anche le più banali infezioni possono diventare letali. Ma non sono certo le infezioni il disagio e la paura più grande: è piuttosto la consapevolezza che, in qualunque momento, può arrivare una guardia e picchiare, stuprare o torturare qualcuno, perché non si è obbedito a un ordine, per estorcere confessioni, o semplicemente perché fa parte della routine, come la brutale «festa di benvenuto» per accogliere i nuovi «ospiti».
Ma non è solo il corpo a risentire di queste modalità violente di detenzione, bensì anche la mente. «Era come se parte della mia anima fosse morta», «Sono stato vicino a perdere la testa», raccontano gli ex detenuti. Il buio, le torture, il sovraffollamento o al contrario la solitudine possono provocare traumi psichici che non sono da meno di quelli fisici.
Per il governo di Assad, queste persone non esistono: sono semplicemente scomparse, al di fuori della portata di qualunque legge possa tutelarli. Per questo Amnesty International ha chiesto ai «paesi della comunità internazionale, soprattutto Russia e Stati Uniti che condividono la direzione dei colloqui di pace sulla Siria», di «mettere questo tema in cima all’agenda delle discussioni tanto col governo quanto con i gruppi armati e sollecitare gli uni e gli altri a porre fine alla tortura».