Privacy e Internet possono convivere?
Da molto tempo sui social network, in particolare Facebook, le bacheche sono invase da previsioni, risultati e test.
Ovviamente, nel momento in cui decidiamo di intraprendere questi test, appare di fronte a noi una finestra che contiene una serie di permessi e informazioni che dobbiamo accettare di inviare per poter procedere.
Ecco dunque che si presenta davanti a noi il problema principale che ci introducono questi giochi: quello della privacy.
L’ultima applicazione che ha portato alla luce il problema è FaceApp, un’app che permette di rielaborare le foto degli utenti al fine di generare un’immagine che rappresenta la versione invecchiata, ringiovanita o con nuovo look dell’utilizzatore.
Il software utilizzato ovviamente richiede che siano disponibili le informazioni del profilo degli utenti che la utilizzano e le foto necessarie per svolgere il processo di restyling.
La questione non nasce però con FaceApp, anzi questa è l’ultima goccia che fa traboccare un vaso pieno di informazioni private che senza alcun problema rilasciamo a società che non conosciamo fino in fondo.
Questa questione aveva toccato un picco di attenzione molto alto nel marzo del 2018, quando una società di consulenza britannica è stata protagonista di un enorme scandalo assieme alla multinazionale Facebook, per aver usato i dati raccolti per aiutare a gestire in modo mirato e ottimizzato la campagna elettorale dell’attuale presidente Donald Trump e il referendum della Brexit.
Questo scandalo ha portato alla luce la problematica dei big data, ovvero quella raccolta enorme di dati che vengono ogni giorno estrapolati e rielaborati per creare previsioni di business future o per tracciare le intenzioni di voto future.
Tuttavia il problema è rappresentato dal fatto che non sempre tali dati sono stati inviati in maniera del tutto consapevole o consenziente, anzi nella maggior parte dei casi sono ricavati da applicazioni a cui abbiamo concesso permessi non molto chiari.
In questo caso FaceApp sembra essere di proprietà russa ed è registrata a San Pietroburgo con il nome di Wireless Lab. Questa provenienza, in un mondo in cui vi è un’acerrima rivalità economica tra la Russia, l’America e la Cina, costituisce un importante indicatore, perché attesta, in questa competizione per la conoscenza del mondo, quale potenza si è aggiudicata i nostri dati.
La questione risulta essere sotto indagine, grazie ad un esposto presentato all’FBI dal senatore americano Chuck Schumer, e la preoccupazione sembra vertere sulla grande mole di dati che per essere rielaborata, è stata salvata, come per molte altre app, in Cloud, ovvero online nel web.
Tuttavia, anche da quanto riportato da un articolo di Privacy International, tali foto potrebbero potenzialmente rimanere nei server anche per sempre, perché sebbene il proprietario dell’app Yaroslav Goncharov assicuri che tali foto si dovrebbero cancellare dopo 48 ore e che i file dovrebbero essere salvati in server che risiedono in USA, dove risiede la sede ufficiale della società, tali informazioni non risultano essere verificabili e la privacy policy non sembra fornire alcuna informazione aggiuntiva.
Una soluzione però potrebbe esserci per gli utenti: infatti, sebbene non sia sufficiente disinstallarla per eliminare le foto in questione, è possibile farlo inviando una Richiesta di bug, alla voce Report a bug presente nella sezione Supporto, al fine di inviare una segnalazione che dovrebbe portare alla cancellazione del file.
Ovviamente qualsiasi dato che viene caricato nei nostri smartphone potrebbe essere potenzialmente prelevato da parte di terzi, ma se si applicano un po’ più di accortezze e se si lasciano meno autorizzazioni possibili cercando di salvare solamente quelle necessarie, ecco che allora il problema potrebbe essere arginato in parte.
In conclusione, la battaglia contro i big data e le manipolazioni è solamente appena iniziata e, probabilmente, i cittadini dovrebbero sempre informarsi dalle fonti, diffidando dei social che potrebbero nascondere insidie date da informazioni pilotate o finanziate dalle agenzie che costruiscono le campagne elettorali.
Laureata all’Università di Padova Ingegneria Chimica e dei Materiali e laureata magistrale in Ingegneria Chimica (Susteinable Technologies and Biotechnologies for Energy and Materials) presso l’Almamater Studiorum Università di Bologna.
Scrivo per La Voce che Stecca dal 16 luglio 2015 e su queste pagine mi occupo di cultura, musica e sport, ma soprattutto di scienza, la mia passione.