Pronto lo sciopero femminista l’8 marzo
La strada verso la «festa della donna» di questo 2017 è costellata di manifestazioni, assemblee, incontri in tutto il mondo. Stiamo assistendo a una grande mobilitazione femminista di stampo globale, di cui le «women’s march» del 21 gennaio (più di 670 cortei a cui hanno preso parte, secondo le stime, 5 milioni di persone) sono state solo un assaggio.
Nel nostro paese il centro pare essere Bologna: qui, presso la sede universitaria di Giurisprudenza, il 4 e 5 febbraio scorsi 2000 persone si sono riunite per la plenaria #nonunadimeno, due giorni di riflessioni sul sessismo, le discriminazioni contro le donne e le persone Lgbtqi+, il lavoro, il welfare, le migrazioni, l’obiezione di coscienza, i centri antiviolenza; ma anche due giorni di mobilitazione verso lo sciopero mondiale dell’8 marzo.
Si comincia con un’azione di boicottaggio contro San Valentino: nel blog «Nonunadimeno» si spiega come «in una società dove l’amore romantico viene esaltato a modello, dove l’eteronormatività ci viene imposta in modo implicito ed esplicito, in questa società patriarcale e capitalista festeggiare san Valentino è un modo per rientrare in quelle pratiche e in quei discorsi che vedono l’uomo bianco eterosessuale il genere dominante e la donna (indifesa e da amare) rilegati nei soliti ruoli».
E allo stesso modo viene sradicato e ribaltato anche il concetto di «festa della donna»: di fondo c’è l’idea secondo cui non ci sia nulla da festeggiare, ma ancora molto per cui lottare. Ecco che la plenaria di Bologna ha elaborato «otto punti per l’otto marzo» con cui si spiegano, nel concreto, le azioni da svolgersi per manifestare il proprio «rifiuto della violenza di genere in tutte le sue forme: oppressione, sfruttamento, sessismo, razzismo, omo e transfobia».
Si sciopera innanzitutto contro il «piano antiviolenza» varato dal governo nel 2015, in scadenza a giugno, con cui i centri antiviolenza sono stati equiparati a qualsiasi altro soggetto del privato sociale, poiché si ritiene necessario che tali centri rimangano, al contrario, spazi laici e autonomi; si sciopera anche per ottenere una «piena applicazione della Convenzione di Istanbul contro ogni forma di violenza maschile contro le donne», per «l’aborto libero, sicuro e gratuito e l’abolizione dell’obiezione di coscienza», per contrastare, attraverso la scuola, tutte le forme di violenza di genere, per un uso, soprattutto sui media, di linguaggi e immagini rispettose e appropriate, senza discriminazioni.
È una campagna imponente che coinvolgerà sindacati, associazioni, centri antiviolenza. Ed è aperta a tutti coloro che vogliano parteciparvi (qui alcune idee su come scioperare): il nuovo femminismo, questa «quarta ondata» così come è stata definita, è molto più aperto verso la tutela e il rispetto degli individui in quanto tali, senza distinzioni di genere, sesso, etnia, orientamento sessuale.
Nonostante ciò, ci sono alcune frange di femminismo radicale che sostengono l’inutilità della presenza maschile a questo tipo di mobilitazioni. Ma non c’è niente di più sbagliato: la violenza è praticabile da chiunque nei confronti di chiunque. Spesso è celata, giustificata da tabù e stereotipi, nascosta nelle sale operatorie degli ospedali, nei consultori, nelle scuole, nei luoghi di lavoro; si manifesta in modi diversi e con intensità diverse. E non può essere disinnescata senza l’educazione alla parità e al rispetto reciproco, a partire dalle scuole, dove molto spesso si cassano questi temi alla stregua di una fantomatica quanto inesistente «teoria del gender»; l’azione dovrebbe poi proseguire nelle università, in cui sono ancora pochi i corsi sugli studi di genere, o sulla letteratura femminile, tanto per fare un paio di esempi.
L’iniziativa dell’8 marzo è sicuramente lodevole e merita condivisione e partecipazione, ma senza dimenticare la meta finale: da un lato, l’estensione della «lotta» a ogni giornata della nostra vita (non basta un giorno per educare e diffondere consapevolezza), dall’altro la trasformazione del femminismo in pieno egualitarismo. Ce la faremo? Nel dubbio, continuiamo a lottare.
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