Problemi di burnout

Recentemente la cronaca ha parlato di un paio di casi di insegnanti sospesi per aver utilizzato in aula metodi, diciamo così, poco ortodossi. In un caso un paio di maestre assegnavano strani temi e si facevano massaggiare le tempie dai bambini, nell’altro un docente afferrava gli alunni per il bavero o li spintonava. Episodi come questi vengono sempre archiviati come fatti deprecabili dovuti a qualche devianza dell’insegnante coinvolto. In realtà, sono fatti cui si dovrebbe prestare maggior attenzione e da trattare con minor superficialità. Insegnare, qualcuno adesso si metterà a ridere, è un lavoro altamente stressante e usurante e lo è tanto più i discenti sono piccoli. Questo è un fatto noto agli addetti ai lavori, misurabile e riscontrabile anche nei corpi docenti degli altri paesi. Le cause sono l’elevata rumorosità presente nelle aule, gli studenti sono sempre più spesso incapaci di stare fermi e sempre meno educati al parlare uno alla volta, l’essere costretti a usare un tono di voce più alto della norma e poi l’aumento esponenziale delle più svariate situazioni da gestire in contemporanea: il gruppo di recupero, quello di eccellenza che si annoia, i due o tre che non si interessano a nulla, chi litiga, chi piange, il gruppo di un’altra classe cui manca l’insegnante, il ragazzino disabile senza il sostegno, il dislessico che chiede più volte di ripetere e riscrivere, “ho dimenticato il libro”, “io il quaderno”, ”ho mal di pancia”, ”io mal di testa”. Esagerata? No, questa è la normalità. E naturalmente un insegnante arriva a scuola già carico dei suoi personali problemi e con il passare degli anni lo stress aumenta sempre più e qualcuno fatica a gestirlo. Inoltre, diversamente da quanto accadeva fino ad una ventina di anni fa, gli insegnanti non hanno più gli strumenti necessari a mantenere la disciplina: le note sono mal digerite dai genitori, alcuni si precipitano a scuola a protestare, e scoraggiate dai dirigenti ed è quasi impossibile valutare in pagella un cattivo comportamento con un voto adeguato. Ai tempi della Gelmini si sbandierò come un ritorno alla severità l’introduzione del “5 in condotta”: niente di più falso perché da quel momento, si è cominciato a far confusione tra il vecchio 7 (voto grave con cui si veniva rimandati a settembre in tutte le materie) e l’attuale che vale una sufficienza piena, finendo per non attribuire quasi mai meno di 8. Il 5? Impossibile da assegnare, a meno che lo studente non abbia aggredito un insegnante o dato fuoco alla scuola, non sia stato successivamente sospeso e si sia rifiutato di pentirsi. In questo stato di cose, gli insegnanti più deboli di carattere sono alla mercé degli studenti e potrebbero finire per scaricare in classe le loro frustrazioni. Queste situazioni se sono presenti in una scuola sono risapute, ma mai adeguatamente affrontate, nel senso che si colpevolizza l’insegnante e invece di aiutarlo lo si sposta da una sezione all’altra o lo si invita a chiedere il trasferimento.

Sono personalmente convinta che, dopo 20/25 anni di lavoro, un insegnante dovrebbe aver la possibilità di passare ad altro incarico, dovrebbe cioè essere prevista una “carriera” che consentisse a chi lo desidera di occuparsi d’altro nella scuola (biblioteca, laboratorio, organizzazione, ecc.). D’altronde anche gli studenti hanno il diritto di aver un insegnante che sia sì bravo ed esperto, ma anche motivato ed equilibrato.

Certo, le cose non vanno in questa direzione, sia per le ragioni che ho elencato nel mio ultimo articolo, sia perché ormai l’età della pensione è arrivata a 67 anni! Siamo davvero convinti che una persona di questa età, per quanto ancora in gamba, possa alzarsi alle 6, mettersi in auto con il buio e magari il ghiaccio, farsi 15-20 Km per essere a scuola alle 8 pronto ad affrontare 25-30 ragazzi vivaci, rumorosi, curiosi di tutto e fare tutto questo con il sorriso sulle labbra? Io no e spero che questa sciagurata decisione, che non ha eguali in Europa, venga rivista al più presto.

I disagi di tipo psichiatrico che ho descritto sono noti con il nome di “burnout” e i famigerati tre mesi di ferie, che poi sono due o anche meno, hanno anche lo scopo di evitare che si arrivi a questo. Nei paesi dove le vacanze estive sono più brevi, sono previste varie interruzioni durante l’anno. In Italia gli insegnanti sono la categoria professionale con la più alta incidenza di tumori, in Gran Bretagna di suicidi. Insomma, non proprio quel lavoro “comodo” che molti credono.

Zigulì

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