Puntare su dazi e qualità potrebbe rilanciare l’Ilva?

Dopo anni, con moltissimi Governi succedutisi e 12 decreti Salva Ilva, la situazione è punto e a capo. Appena l’anno scorso Di Maio si era lanciato in dichiarazioni contro la gara d’appalto promossa da Calenda, giudicandola illegale; dichiarazioni che poi sono rimaste tali, vista l’assegnazione dell’appalto a Arcelor-Mittal piuttosto che alla concorrente Acciai Italia. Oggi la stessa Arcelor-Mittal ha dichiarato di voler recedere dal contratto. Per questo, nelle ultime frenetiche 48 ore, ci sono stati diversi vertici, sia tra Governo e proprietà che all’interno del Governo stesso.

Dopo l’incontro con la Presidenza Mittal e il Consiglio dei Ministri, il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte e il Ministro per lo Sviluppo Economico Patuanelli si sono presentati in conferenza stampa a spiegare la situazione. La marcia indietro sembrava inizialmente dovuta al fatto che il Senato ha respinto , pochi giorni fa, l’emendamento al Dl Imprese che poteva introdurre lo «scudo penale», ovvero la possibilità di proseguire la produzione mentre si metteva lo stabilimento a norma per quanto riguarda le emissioni, senza incorrere in denunce (situazione che sarebbe unica in Europa). Un’altra questione nota era la chiusura coatta dell’altoforno 2, predisposta dalla Magistratura per infortuni passati, per cui la produzione si ridurrebbe rispetto alle previsioni. Il Governo si è detto disposto a concedere, con norme apposite, lo scudo. In mattinata, però, era emerso un altro tema, che è diventato e resterà il nodo principale, anche se fossero risolti gli altri due.

Nella proposta di Arcelor-Mittal, con cui il gruppo si è aggiudicato la gara, era previsto l’incremento della produzione fino a 8 milioni di tonnellate di acciaio/anno nel 2024, con un aumento della lavorazione a 10milioni di tonnellate (2 sarebbero state acquistate da fuori), mentre ora le nuove stime prevedono un massimo di 4 milioni di produzione. Ciò porterebbe a 5mila licenziamenti su 10.500 dipendenti attuali, con effetti catastrofici anche sull’indotto. Ci si domanda il perché di questa differenza nelle previsioni a poco più di un anno di distanza, tanto che Conte parla di iniziative preoccupanti e chiede unità del Paese sul tema. L’azienda ha inviato anche un atto di citazione al Tribunale, chiedendo se l’atto di recesso dal contratto possa essere legittimo viste queste condizioni.

Patuanelli ha ricordato anche che negli anni di gestione commissariale statale si arrivava a una media di 400 milioni di perdita all’anno, mentre ora Mittal parla di 780 milioni (più di due al giorno) pur con 1300 lavoratori in meno, che sono entrati in cassa integrazione dopo l’aggiudicazione dell’appalto. Anche in questo caso c’è qualche perplessità sulla gestione. Inoltre dal Ministro traspare preoccupazione per quanto riguarda i settori collegati, dal nautico all’automotive.

Chi ha le idee chiare è Michele Emiliano, Presidente della Regione Puglia, che dall’inizio giudicava Arcelor-Mittal il peggiore acquirente possibile. In collegamento a L’Aria che Tira, su La7, ha detto che il gruppo siderurgico più grande del mondo non è mai stato interessato realmente all’impianto in sé e che la sua intenzione primaria era toglierlo alla concorrenza, ponendo da subito poca attenzione alla fase di rilancio. Sottolineiamo anche che la gara è stata vinta grazie all’alto punteggio ottenuto nella parte che riguardava costi per lo Stato: per il programma di investimenti  e rilancioaveva ottenuto un punteggio maggiore la cordata italiana.

Sembra chiaro che produrre acciaio semplice in Italia, con un mercato così globalizzato, non renda, in quanto la produzione è molto più conveniente in paesi che tutelano meno l’ambiente e i diritti dei lavoratori. Non a caso, il giorno dell’annuncio del disimpegno, Arcelor-Mittal ha guadagnato il 6% in borsa. Le soluzioni quindi sono porre dei dazi sulle importazioni e/o attuare un vero piano di rilancio, facendo la differenza sulla qualità, nel rispetto dell’ambiente. Intanto Conte ieri sera, a Porta a Porta, ha lasciato aperta l’ipotesi nazionalizzazione, garantendo comunque che la prima mossa in caso di passo indietro sarà il commissariamento. Per la grande fabbrica di Taranto, che porta lavoro e morte, sembra sia arrivata la resa dei conti finale.