Qualcuno dica allo sport di essere sportivo
Il sangue longobardo, che sarà pure un po’ ligure, un po’ gallico e un po’ minchione, come diceva il Gadda, ma è da millenni il motore della civiltà italiana, europea e mondiale, ha la F Bomb perfetta per un biennio che perpetua il sadico sport di metterci alla prova.
Un modo pulito che coinvolge l’arte orologiaia per dire ognuno faccia quel che è bravo a fare e se non sai non parlare, questa è culturalmente pesante; l’ha detta Wittengenstein. Più nazional popolare, meno filosofica ma altrettanto liberatoria è la scena de Il secondo tragico Fantozzi, dove Paolo Villaggio creerà l’eterno aggettivo qualificativo per ogni schifezza che oltre a essere quella roba là è pure pretenziosa, maliziosa, drammatica e supponente: La corazzata Potemkin è una cagata pazzesca!
I novantadue minuti d’applausi si dice riecheggino ancora nel cineforum della Megaditta ItalPetrolCemeTermoTessilFarmoMetalChimica.
Finisce Wuhan e comincia l’Ucraina, scegli attentamente il tuo prossimo problema
Ora: il menefreghismo è male, Antonio Gramsci andò al Regina Coeli di Trastevere per il suo voler essere interessato e partecipe, I care diceva Lorenzo Milani assieme al Gramsci, ambedue contro Pietro Zaninelli e il suo me ne frego, l’inno meno gettonato ma più politico del fascismo.
Ma Gramsci era un giornalista, Milani un pedagogo, Gianni Petrucci il presidente della FIP. Politica e sport se non si considerano le aristocratiche pernacchie di Winston Churchill (Gli italiani perdono le partite di calcio come se fossero guerre e perdono le guerre come se fossero partite di calcio), devono rimanere ambiti a sé stanti.
In tempo di Coronavirus, si riuscì ad addormentare lo sport e a eleggere meraviglie architettoniche, come il podere Gignoro in provincia di Firenze dove c’è il museo del calcio o il Flaminio di Antonio Nervi in Piazza Dodi a Roma, tra gli attendenti di quel 4 Maggio 2020 quando il mondo uscì nuovamente di casa, operando un atto solennemente dignitoso.
Ma lo fu proprio perché il Coronavirus non è stata una questione politica, bensì di libertà come responsabilità e responsabilità per la libertà. Chiudere l’Italia a un certo punto era doveroso e, se non l’avesse chiesto Speranza, lo avrebbero implorato gli ospedali pieni e i cadaveri lungo le strade, scenario manzoniano evitato proprio da tale decisione, in barba all’opinione dell’italietta degli umarell, del Bar Sport, di Carlo Verdone che inneggia contro Avatar di James Cameron dicendo che l’Italia deve fare solo commedie.
La stessa italietta che genera una politichetta che oggi s’incaponisce sull’Ucraina, in nome della quale scimmiottare l’ultrasinistra americana, senza tener conto dello sfasamento culturale nei confronti di un Paese dove le armi si comprano al supermercato, il cui modo per apparire sanissimo è ignorare i suoi problemi in nome di gesti simbolici come il rifiuto di Petrucci di far giocare la Russia contro l’Italia.
Dopo il Black Lives Matter, ovvero: «Al razzismo ci pensiamo solo adesso e arruoliamo Cartoon Network come nemmeno avvenne durante la Seconda Guerra Mondiale nella cronaca di Alessia Cecchet Salvate il soldato Donald», ci troviamo di fronte a un Ukrainan Lives Matter all’italiana, ma senza l’astuto glamour di Vanity Fair.
Se si voleva fare politica a pallonate, cosa già insulsa di suo, si è buttata via la chance di ottenere una sconfitta simbolica, pur sostanzialmente indifferente per il diretto interessato, del regime guerrafondaio di Putin a suon di canestri tra le due fazioni in lotta.
Semplicemente, chi fa sport non adagi i suoi glutei in parlamento e chi fa politica non adagi i glutei nello stadio più vicino.
Ma che c’entrano Fracchia e Auricchio?
La cagata pazzesca di Fantozzi è inappropriata, col passare del tempo con essa si è sminuito il film di Ejzenstein e, come detto da Gabriele Niola, la si usa per evitare la critica approfondita a tutto ciò che ci potrebbe condurre fuori dalla nostra comfort zone, ma ha una schiettezza giganteggiante. Quella, insieme al culo grosso come una chiesa di Lino Benfi in L’allenatore nel pallone.
Le commediacce sono triviali, ma rappresentano così pulitamente la vox populi che raramente dagli stessi USA che all’epoca spargevano glitter transatlantico di e da Vogue con Tutti gli uomini del presidente e Paris Texas arrivavano dribblando i cineforum.
Che si tratti di commedie al fulmicotone tipo Porkys questi pazzi pazzi pazzi porcelloni o la miglior scena di Peter Finch in Quinto potere, la volgarità quando fa la scrofa nel fango e non il diamante lustro di bottega tirolese ricorda che volgare significa dal volgo, dalle genti povere e naturalmente maleducate, di quell’alternativa galante che se non avevi i soldi per permettertela vivevi senza, e un pò socialisticamente anche meglio, guadagnandovi in trasparenza.
La fiaba dei vestiti nuovi dell’imperatore? Esattamente quella. E oggi che con l’Ucraina al posto della Cina le emergenze planetarie sono ridiventate fatti per le élite, che politicizzano tutto, anche e soprattutto lo sport. Ma i loro vestiti sono altrove.
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