La razionale legittimità della poligamia
«Se è solo una questione di diritti civili, ebbene la poligamia è un diritto civile», così ha scritto qualche giorno fa su Facebook un ex esponente dell’Unione comunità islamiche d’Italia (Ucoii), Hamza Roberto Piccardo. Immediate le polemiche, tra i tanti la filosofa e deputata gay-friendly Michela Marzano (autrice del bel saggio Papà, mamma e gender, Utet), che stigmatizza: «Ovviamente non è un diritto. E ovviamente non c’entra niente con le unioni civili. Perché? La risposta è molto semplice per chiunque abbia anche solo una minima idea di cosa sia una coppia e di cosa significhi, per le persone omosessuali, voler condividere gli stessi diritti e gli stessi doveri delle persone eterosessuali. Stessi diritti. Stessi doveri. All’interno di una relazione simmetrica. Simmetricità che è invece assente per definizione nella poligamia. Il resto è solo noia. E ignoranza. E malafede».
Se premettiamo che la poligamia comprende per definizione sia la poliandria sia la poliginia, senza «ignoranza» né «malafede» ci è difficile comprendere dove stia la mancanza di «simmetricità» in una relazione fra più individui, regolamentata dallo Stato. Quest’ultimo, siamo convinti, dovrebbe cercare — onde evitare discorsi come questo — di rimanere marginale nelle questioni affettive dei cittadini: ognuno ha i suoi bisogni e non c’è motivo logico o razionale per tutelare giuridicamente qualcuno a discapito di qualcun altro. Consapevoli che nel 2016 il matrimonio è prima di tutto una forma di protezione economica, è evidente che se le coppie di sesso diverso potevano sposarsi, mentre quelle same-sex no, queste si arrabbiavano. Ma analogo può essere il discorso riguardante da una parte tali forme di unione e, per esempio, un quintetto formato da 3 donne e 2 uomini. Cosa impedisce loro, razionalmente e logicamente, di essere tutelati in modo analogo a una coppia di persone?
Per abitudine o per tradizione, come preferite, le unioni sono sempre state fra due persone ma, come si è arrivati (finalmente) a riconoscere queste coppie anche se i contraenti sono dello stesso sesso, perché non si può vincere ancora una volta la Storia e riconoscere anche le unioni di gruppo? Che l’interesse sia anche sentimentale o meramente economico non è affare dello Stato, ma solo dei diretti interessati.
Non mi si dica che in questo modo si può riconoscere qualunque cosa, compresa la pedofilia: qui si parla di contraenti pienamente consenzienti e la cui unione, anche se non riconosciuta dallo Stato, non viola alcuna legge.
Le Marzano di ieri sono gli Adinolfi di oggi, oppure, si è sempre Cicero pro domo sua.
Giornalista professionista e fotografo. Ho pubblicato vari libri tra storia, inchiesta giornalistica e fotografia
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