Reboot, perché ci attraggono?

«Murphy Brown», «Pappa e Ciccia», «Sabrina vita da Strega», «Roswell New Mexico», Streghe sono solo cinque dei numerosi titoli ben rispolverati, tinti con nuova vernice e rivenduti al grande pubblico della serialità.
La televisione statunitense prende appunti dal cinema hollywoodiano e confeziona per la stagione che ci apprestiamo a osservare le vecchie e indimenticate glorie del piccolo schermo.
Una flebile ondata di nostalgia? Un circolare e monotono viaggio verso il sempre medesimo centro?
Un segno di ingiustificabile indolenza? L’appetito per il denaro facilmente conquistabile? O, più semplicemente, lo stato di depressione e intensa solitudine dopo l’abbandono della fantasia?

Inutile vagare intorno a motivazioni che collidono, che si respingono, che si abbracciano tra loro, più fruttuoso dichiarare con coraggio un aspetto: se ordinati frequentemente dalle principali emittenti del globo, significa che loro, i desiderati, disprezzati e sempre più spesso commentati, reboot, remake, prequel e sequel televisivi e cinematografici rappresentano un investimento sicuro, profittevole e di successo. Ciò avviene perché siamo noi a mancare di creatività, della brama per la meraviglia, per l’originalità, per l’eterogeneità delle forme, degli stili, dei contenuti. Preferiamo ergerci ad illustri commentatori dell’illustre serialità mondiale, esimi censori agenti nel rispetto dell’ortodossia, del passato irripetibile e oltremodo insuperabile.

Loro spesso non ci piacciono. Lontani dalla magia del primo incontro, lontani dalle sensazioni che solo un tempo seppero donare, lontani anche quando attenti alla cura degli «easter eggs», degli omaggi e delle reinterpretazioni, nelle conversazioni fra amici non vengono quasi mai citati con esuberante affetto, ma noi, fruitori dell’antica e aristocratica televisione, li divoriamo senza tregua. Nell’inconscio respiro del vuoto, della spazzatura, dell’assenza, ci scopriamo migliori di loro: li ricerchiamo e li spacchettiamo, perché abbiamo bisogno di sentir vibrare la nostra possente superiorità.