Renzi e gli 80 euro: molti i problemi dopo 2 anni
Recentemente si è scatenata una vera e proprio bufera attorno ai famosi 80 euro che il governo si era impegnato, nell’ultimo anno, di riconoscere come bonus a una determinata fetta di lavoratori, con l’obiettivo, da una parte, di favorire la ripresa dei consumi e, dall’altra, di essere un provvedimento di giustizia sociale.
Nello specifico, tale misura è pensata come un alleggerimento fiscale per coloro che hanno un reddito imponibile compreso tra gli 8mila e i 26mila euro ed è proprio da questi parametri che sono sorti i problemi che hanno portato alle accuse fatte a Renzi, capeggiate soprattutto dal Movimento 5 Stelle, di aver promesso tale bonus solo come marchetta elettorale, per poi richiederne la restituzione poco dopo, oltre che ai fischi della Confcommercio. Il premier, dal canto suo, difende il provvedimento, arrivando a dare del «bugiardo» a Beppe Grillo e a rispondere con molto furore a tutte le altre critiche.
Quello che ha scatenato la polemica è il fatto che qualunque lavoratore inizialmente beneficiario che a fine 2015 si sia trovato con un reddito superiore, o inferiore, a tali soglie, si trova ora costretto a restituire tutti i bonus ricevuti, in un’unica soluzione, tramite trattenuta in busta paga o modulo F24. Il problema non sta tanto nella restituzione in sé, che, aduna visione oggettiva può anche essere giustificata dalla natura del provvedimento (almeno per quanto riguarda chi ha superato tali soglie in eccesso), quanto piuttosto dalla distorsione nel meccanismo di erogazione di tale bonus e della vaghezza per cui alcuni lavoratori si sono trovati a dover restituire anche somme piuttosto ingenti, magari dopo aver subito un licenziamento e per questo essere scesi al di sotto degli 8mila euro annui minimi per la percezione dell’incentivo. In questo contesto risultano del tutto sensate le parole del ministro dell’Economia Padoan, che sottolinea la necessità di trovare, possibilmente in tempi brevi, altri metodi, si spera meno invasivi, per la restituzione, per far sì che tale provvedimento non porti a maggiori ingiustizie sociali di quelle che spera di prevenire e non sia una spada di Damocle pronta a ferire in una situazione già difficile come può essere quelle della perdita del proprio lavoro.
Un’altra critica, più pragmatica, arrivata soprattutto da alcuni esponenti della Confcommercio, è dovuta al fatto che il bonus non è stato in grado di rilanciare a dovere i consumi. In ciò si inquadra anche il pensiero del presidente Sangalli, per il quale questi sono «provvedimenti utili nella logica della solidarietà e dell’emergenza, che rischiano però di essere poco incisivi», perché è «mancata una visione organica del fisco che si vuole per un’Italia più forte e più dinamica». Sicuramente, per uscire da una crisi che si è dimostrata essere tutt’altro che locale o passeggera, non può bastare una misura così limitata, ma ciò non può nemmeno implicare la sua inefficacia in toto o far dimenticare i risvolti sociali di essa.
La cosa forse più interessante che si può desumere da tutta la vicenda è, da un lato, come il governo si sia dimostrato poco accorto e superficiale nei dettagli legati al suo agire, importanti quanto e forse più del nucleo stesso del provvedimento e, dall’altro, di come abbia probabilmente caricato di troppe speranza, in modo alquanto demagogico, una misura che, per quanto possa essere positiva, non è e non può essere la soluzione ultima alla crisi odierna.